Il problema non è il bicameralismo perfetto, ma la Questione Morale

A furia di non voler affrontare le radici politiche della Questione Morale, basta agitare lo spettro che “verranno cancellati 315 stipendi di senatori” per mandare il popolo affamato in brodo di giuggiole. A parte che non sarà così, perché fa davvero ridere che ci sia qualcuno che vada a lavorare a gratis nel futuro Senato delle Autonomie, ma il vero problema dell’iter legislativo italiano non è il bicameralismo perfetto, bensì i regolamenti parlamentari.

Sono quelli che allungano a dismisura i tempi di approvazione di un normalissimo disegno di legge. Mentre è grazie al bicameralismo perfetto se ci siamo salvati più di una volta da leggi incostituzionali e dal sapore vagamente autoritario (posto che, quando convenivano anche al centrosinistra, vedi il giusto processo dichiarato incostituzionale e poi infilato in Costituzione a tempo di record, c’è poco da fare).

Senza contare che è fondamentalmente risibile l’accusa al bicameralismo perfetto di essere un sistema ottocentesco: gli Stati Uniti d’America, tanto elogiati, celebrati e presi ad esempio, ce l’hanno da 200 anni e non intendono cambiarlo, proprio perché un Presidente con poteri così grandi necessita di un contrappeso istituzionale altrettanto forte: si chiama sistema di pesi e contrappesi ed è di stampo liberale (visto che qui son tutti a definirsi tali, senza conoscerne i fondamentali).

Nell’Italia così tanto appassionata agli uomini della Provvidenza, invece, si vorrebbe stravolgere la Carta costituzionale (con un Parlamento delegittimato a farla, perché eletto con una legge elettorale incostituzionale) per assegnare uno strapotere al pupo fiorentino con manie di grandezza, riducendo il Parlamento, nella migliore delle ipotesi, a un bivacco di zelanti leccaculo del capo carismatico, che si limiterebbero a premere un bottone e a salvare culo e poltrona.

Senza risolvere, per altro, nemmeno uno dei problemi della politica italiana, vale a dire il clientelismo, il sottogoverno, le lottizzazioni, le spartizioni di potere e la sistematica tutela di interessi privati spacciati per interesse collettivo: per essere concisi (non circoncisi e nemmeno coincisi), si vorrebbe dotare l’Italia di un sistema di controlli costituzionali soft, senza risolvere la Questione Morale.

Un suicidio politico, per la democrazia e per l’Italia. Se fosse stato Silvio Berlusconi a proporre una cosa del genere, avremmo le piazze piene di militanti piddini con gli occhi iniettati di sangue a inneggiare a Piazzale Loreto, oggi invece quei militanti restano in silenzio e si godono la breve infatuazione con il novello Craxi fiorentino. E poi hanno pure il coraggio di sostenere che Berlinguer è la loro storia.

Si rileggano, a tal proposito, quell’articolo pubblicato su Rinascita il 16 giugno 1984, scritto da Enrico Berlinguer prima di morire: si faranno un’idea su quel che veramente diceva l’ex-leader del PCI e forse, dico forse, si riprenderanno dall’ubriacatura autoritaria. In fondo, la speranza è sempre l’ultima a morire.

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