Un pomeriggio col compagno Camilleri

il bello di andare ad ascoltare persone dell’età di Reichlin o Camilleri è notare come, nonostante la veneranda età raggiunta, siano capaci di non perdere contatti con la società, di capinrne ancora le necessità e i veri bisogni.

Camilleri, nel suo parlare di scuola pubblica, afferma di assistere sgomento ai tagli agli investimenti sulla cultura e di notare, però, la costante presenza di fondi per mandare gli aerei in libia o in qualche altra parte del mondo per far morire i nostri soldati; pacifista da sempre, è contro ogni tipo di guerra (o, secondo l’attuale eufemismo in voga ‘missione di pace’), contro l’utilizzo di qualsiasi arma, forse sarebbe meglio “vivere come le scimmie bonobo, loro sì che fanno l’amore non fanno la guerra!”. Guardare al mondo d’oggi e “anche solo pensare che i beni primari siano da difendere è da pazzi”, fa l’esempio dell’acqua, della scuola “la vera scuola è il confronto tra le personalità, tra i ceti, tra i caratteri, se le cose non vanno non perdete l’occasione di scendere in piazza, di far sentire la vostra voce, i mezzi non vi mancano e internet è una grande arma a disposizione”. Si lascia, nel contesto, scappare che la sua paura è che questi suoi 86 anni di attività tutto il suo impegno per il futuro dell’Italia non sia “servito a un.. nulla, per così dire”.

Si parla di Politica, ai livelli più alti, la nostra, affermerà, “è la Costituzione più bella al mondo, una delle letture più interessanti che ho fatto era un libro contenente le discussioni nate in assemblea costituente e nella società riguardante ogni articolo della nostra legge fondamentale”, una costituzione che deve ancora oggi essere guida della politica, in cui -ormai- si sente la mancanza dell’impegno civile. La politica non è solamente l’essere nei sistemi dei partiti, in parlamento ecc, la politica è prima di tutto impegno, quell’impegno per cui attualmente il mondo culturale italiano è debole, “si sente parecchio la mancanza di uomini come Sciascia e Pasolini” e lui stesso non si sente un grande esempio, non si sente un maestro, evita di affrontare argomenti come la mafia, “perché parlandone si finisce sempre per farne un ritratto quasi positivo o comico, l’unico che ha saputo parlarne è stato Saviano”.

La cultura, però, non è il conoscere nozionistico scolastico, “non è leggere libri, non è una torre d’avorio, la cultura porta a dare, si è veramente coscienti quando la cultura esce da sola da noi per impregnare gli altri, cultura è diversità, cultura è lavoro; ogni uomo è cultura, don Ciotti afferma che ogni uomo è il crocifisso e, da non credente, in questa frase io credo. Non leggete soltanto, ma vivete attivamente, perchè ogni uomo può essere il nostro eroe. Eroi sono gli uomini che sbarcano in questi giorni venendo dall’Africa settentrionale, eroi sono quelli che non ci tengono nemmeno troppo ad essere riconosciuti come tali, perché la loro strada è uguale alla nostra, non sono semi-dei o essere superiori, non sono gli eroi classici, gli eroi, oggi, sono persone come Abrosoli”. Gli esempi nella società di oggi, “ci sono ancora, ma vanno ripescati e rimessi in luce perché, in bella vista, ci sono solamente esempi negativi”.

Parlando di lingua, ‘Don Nenè’ cita spesso Pirandello, “l’italiano è una lingua mediata, di una cosa esprime il concetto, il dialetto ne esprime il sentimento, anche mia madre, quando facevo tardi, esprimeva in dialetto le sue preoccupazioni, per poi notificarmi in un italiano perfetto e notarlie i provvedimenti futuri di sorte capitale che avrebbe adottato nei miei confronti”.

“il dialetto non è tutto uguale, ci sono molte parlate diverse, l’esempio maggiore lo si può avere nel Ciclope di Euripide tradotto in siciliano da Pirandello: il Ciclope utilizza una parlata carnale, Sileno –il capo dei contadini- ha una parlata mafiosa, mentre Ulisse, che è uomo di mondo, utilizza un siciliano mischiato all’italiano, da ciò deriva una grande lezione: A chi mi propone una valorizzazione politica del dialetto, rispondo che l’italiano è la lingua madre, è un albero” e i dialetti ne sono le radici, “da cui attingere nuovi termini. Quando abbiamo bisogno di trovare nuove parole non cerchiamole nell’inglese che, tra l’altro, ci regala termini negativi come ‘devolution’, cerchiamola nei dialetti.

Il momento in cui viviamo è, “onestamente, un momento di degenerazione della democrazia. Di certo non paragonabile al regime che io ho vissuto nei primi anni della mia vita, non staremmo qui a parlarne e io starei già in galera! Però è una forma più sottile e nascosta”, dotata di grandi mezzi che permettono al capo “di usare e diffondere le stesse parole di Totò Riina ‘sono perseguitato da questi magistrati mafiosi’, ma il povero Totò queste frasi le ha potute dire solo da dietro le sbarre di una gabbia nel tribunale”.

“Ai tempi di Andreotti mai la magistratura si sarebbe messa contro il potere, da Falcone e Borsellino è cominciato tutto, da lì i magistrati hanno cominciato a prendere coraggio”.

Parla della sua giovinezza, della sua militanza, paragonando il ruolo di noi giovani d’oggi a ciò che facevano loro, ai suoi tempi “erano i partiti ad aiutare la partecipazione attiva in politica, oggi i partiti sembrano non aiutare, tutt’altro”. Ma bisogna ricordare che per portare avanti istanze positive per la società “non è obbligatorio essere in un partito, ciò che conta è avere un’idea comune”, certo, ciò non toglie che sia ancora utile necessario “entrare nel sistema partitico per modificarne da dentro i difetti”.

Quando De Gasperi, rappresentante dei sconfitti affermò davanti ai delegati internazionali che sapeva di avere contro di sé e del suo paese tutto tranne la cortesia dei presenti, tutta l’Italia era unita in un unico spirito, in un unico sentire, “non c’erano nemici, solo avversari politici. Ai tempi mancava la comunicazione, quando c’è comunicazione le differenze, le punte si limano in favore della pacifica convivenza”, “c’era la necessità di riappropriarsi della cultura che ci avevano rubato, che ci avevano nascosto, durante il il regime. L’unico giornale con cui potevamo essere informati vagamente su ciò che accadeva nel mondo era l’Osservatore Romano, c’era la voglia di recuperare gli arretrati, e lo facemmo grazie a riviste come ‘Rinascita’ di Togliatti o grazie alle riviste straniere straniere che arrivavano finalmente in originale. Eravamo pronti ad impregnarci della cultura che ci era stata preclusa. A voi è offera la scelta, anche troppa a volte, delle fonti”, c’era “maturità, che è prendere coscienza di sé, delle proprie possibilità e dei propri limiti, avere ambizioni e superare con queste i nostri limiti, poggiando sempre su un solido trampolino di lancio. E l’unica solida base per qualsiasi cosa è la cultura, che non è elitaria”, “c’erano le ideologie, ce le hanno tolte, ci hanno detto che è meglio stare fuori dagli schemi antichi, va bene, ma non bisogna mai essere indifferenti all’impegno politico, perché la politica delegata ad altri sarà sempre contro di noi”.

Unica nota stridente in tutto l’incontro (a parte, naturalmente, gli immancabili autoelogi tra organizzatori “grazie a chi ci porta la cultura”) sono stati, a mio parere, gli applausi riguardanti il concetto anti-nozionistico della cultura, specie nel punto in cui Andrea Camilleri afferma che “cultura non è per forza leggere libri, cultura è lavoro, ogni uomo è cultura”. No, non fraintendetemi, gli applausi erano motivati, ciò che ho trovato ipocrita sono state le risate cui molti si sono abbandonati nell’ascoltare un uomo di sessantott’anni dire “io non la conosco, so che lei è forse l’unico che ancora oggi sa quali sono i bisogni della nostra società e le sue necessità, lo noto nei suoi personaggi così vivi, così veri” e il tutto solo perchè, nella premessa, ha osato dire “io non ho letto i suoi libri, ma ho visto i suoi personaggi alla tv”.

E’ questo il problema vero della sinistra, l’abbiamo imborghesita e l’abbiamo posta su un piedistallo, la cultura doveva essere da collante, doveva unirci, non dividerci. La sinistra oggi è critica verso le altre classi, verso chi non ha, non fa, non può. Ipocritamente questi pseudo-liberal imborghesiti applaudono a chi dice loro “la cultura non è leggere, non solo, almeno” e deridono chi afferma di non leggere, tacciandolo per ignoranza, solo perché loro hanno la possibilità di andare in un’università, di avere dei genitori che lavorano per pargare loro gli studi, senza davvero ascoltare le sue parole, in realtà profonde e sincere. È questa la cultura elitaria che lo stesso Camilleri ci dice di evitare.

32 commenti su “Un pomeriggio col compagno Camilleri”

  1. Non è detto che diventare vecchi ci allontani dalla società,dai suoi bisogni e problemi. La vecchiaia in genere dovrebbe portare saggezza, non a tutti certo ne convengo, alcuni sono refrattari alla comprensione ma questi credo lo fossero anchge da giovani.

  2. Non è detto che diventare vecchi ci allontani dalla società,dai suoi bisogni e problemi. La vecchiaia in genere dovrebbe portare saggezza, non a tutti certo ne convengo, alcuni sono refrattari alla comprensione ma questi credo lo fossero anchge da giovani.

  3. E’ sempre un piacere ascoltare un uomo come Camilleri che con il suo vissuto importante ci sà incantare con la sua voce un pò roca e bassa con quel prepotente accento siciliano al quale segue ogni tanto un intercalare dialettale…purtroppo l’ho sempre sentito solo per televisione…che darei per vederlo dal vivo…

  4. E’ sempre un piacere ascoltare un uomo come Camilleri che con il suo vissuto importante ci sà incantare con la sua voce un pò roca e bassa con quel prepotente accento siciliano al quale segue ogni tanto un intercalare dialettale…purtroppo l’ho sempre sentito solo per televisione…che darei per vederlo dal vivo…

  5. Ho sentito tante volte Reichlin, faceva parte della segreteria del PCI al tempo di Berlinguer. Una generazione d’oro.

  6. Molte delle menti migliori sono state parcheggiate troppo presto in nome di un rinnovamento che si e’ dimostrato ridicolo.

    Con loro sono stati parcheggiati anche i valori fondamentali, l’onesta’, ed un approccio etico nei comportamenti quotidiani.

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