Il Fallimento politico-morale dei presunti eredi di Berlinguer

 

Noi, di questo casino italiano, non siamo innocenti.”
(Alfredo Reichlin, 3 febbraio 2011, La Storia Siamo Noi, Speciale Ultimo Congresso PCI, scena finale)

Se devo pensare ad una data per fissare la crisi del centrosinistra, me ne viene in mente una sola: 2 gennaio 2006, cinque anni fa. Quando su “Il Giornale” della famiglia Berlusconi appaiono le famose intercettazioni di Piero Fassino, allora segretario dei DS, che chiede a Giovanni Consorte “Allora? Siamo padroni della banca?

L’intercettazione risale al 18 luglio 2005, giorno dell’Opa truccata di Unipol verso BNL: una scalata bancaria che fallirà a causa del crollo di Fiorani, alle inchieste sulle altre scalate dei furbetti del quartierino (che poi porteranno alle dimissioni dell’ex-governatore della Banca d’Italia Antonio Fazio) e soprattutto grazie ai nuovi vertici della Banca d’Italia, che riterranno inadeguate le garanzie patrimoniali date da Unipol e sospenderanno il giudizio sull’affidabilità del gruppo dirigente, oggetto d’indagini della magistratura.

Il sogno di una notte di mezza estate dei vertici diessini di controllare una banca si dissolve in un attimo. Non si dissolveranno però le polemiche, le inchieste giudiziarie e, soprattutto, le gravi implicazioni sul piano politico e morale che questo tentativo maldestro di controllare una banca avrà sul centrosinistra e, soprattutto, su quel partito erede di quel PCI che faceva dell’onestà, della trasparenza e della Questione Morale una proprio bandiera e un proprio vanto.

Nel breve periodo, la campagna berlusconiana del “visto? Sono tutti uguali” distrugge il vantaggio di oltre 15 punti percentuali che aveva il centrosinistra ad un misero 0,1%, con i risultati che noi tutti conosciamo.

Nel medio periodo, porterà alla capitolazione dei Democratici di Sinistra, la cui classe dirigente, anziché dimettersi in blocco, fa leva sul mai abbandonato centralismo democratico della tradizione comunista per convincere della necessità di cambiare non la classe dirigente, ma il partito (come se una riverniciata alle sigle di partito potesse risolvere la Questione Morale che l’aveva investita).

Cominciò allora a prendere vigore quella che la classe dirigente sotto scacco chiamò “antipolitica”, ma che in realtà era la richiesta di una politica pulita, migliore, onesta. Le basi del successo di Grillo e della crisi del centrosinistra cominciano in questo momento a consolidarsi, ma la miopia dei soliti dirigenti impedisce di vedere oltre il proprio naso.

I due principali responsabili, Fassino e D’Alema, che non possono sapere che nel 2007 le intercettazioni usciranno sui giornali integralmente, rivendicano le telefonate con Consorte e sostengono che è naturale che i DS parteggino per le coop rosse. D’Alema addirittura punta il dito contro la presunta “campagna politica e giornalistica che risponde a certi interessi” e a “certi salotti”, ma anche ad alleati “cretini e mascalzoni”.

D’Alema non trova per nulla imbarazzanti, infatti, le commistioni tra politica e affari, tra pubblico e privato, che verranno fuori di lì a poco, ma che già allora si potevano prevedere. Senza contare gli incroci finanziari: Consorte, Doris e Gnutti che finanziano Fiorani per l’assalto ad Antonveneta; Unipol e Fiorani che finanziano Ricucci per Rcs; Fiorani che presta 4 milioni a Consorte, senza garanzie, per una speculazione personale. Tutto questo per il Presidente della Quercia è lecito.

Anche oggi, di fronte a queste argomentazioni, qualcuno (che non conosce le carte) ti dice (anziché smentirti nel merito): “Ma è stato condannato?” A parte che lo sarebbe stato, se il Parlamento Europeo avesse autorizzato l’uso delle intercettazioni da parte della Procura di Milano, ma qui non stiamo parlando della Questione Giudiziaria (di competenza dei giudici), bensì della Questione Morale, che investe la Politica dai tempi dell’antica Grecia e che, come diceva Berlinguer:

“[…] non si esaurisce nel fatto che, essendoci dei ladri, dei corrotti, dei concussori in alte sfere della politica e dell’amministrazione, bisogna scovarli, bisogna denunciarli e bisogna metterli in galera. La questione morale, nell’Italia d’oggi, fa tutt’uno con l’occupazione dello stato da parte dei partiti governativi e delle loro correnti, fa tutt’uno con la guerra per bande, fa tutt’uno con la concezione della politica e con i metodi di governo di costoro, che vanno semplicemente abbandonati e superati. Ecco perché dico che la questione morale è il centro del problema italiano. Ecco perché gli altri partiti possono provare d’essere forze di serio rinnovamento soltanto se aggrediscono in pieno la questione morale andando alle sue cause politiche.

Ma i vertici dei DS, che nel 2004 si erano prodigati a commemorare il 20esimo anniversario della morte di Berlinguer (fenomenale il commento di Filippo Ceccarelli), sparano a zero su tutti quelli che nel 2006-2007 chiedono le loro dimissioni in nome della Questione Morale (da Scalfari a Vittorio Foa, da Bassanini a Barbara Spinelli, da Paolo Sylos Labini a Paolo Flores d’Arcais) e addirittura accelerano la costruzione di quel Partito Democratico che nessuno voleva, come dimostra oramai un celebre video di D’Alema del 1999.

Il IV Congresso dei DS si apre il 19 e si chiude il 21 aprile 2007: Fassino vince con oltre il 70%, D’Alema, ministro degli esteri e vicepremier, rinuncia alla carica di Presidente, ma gli occhi sono tutti puntati su Walter Veltroni, da più parti indicato come l’unico possibile leader del PD. Tanto che, interrogato sul tema, D’Alema dirà: “Veltroni segretario del PD? Non finché io vivo.”

La svolta arriva il 19 giugno 2007, in pieno scandalo Unipol, quando Clementina Forleo chiede l’autorizzazione all’utilizzo delle 73 intercettazioni trascritte dalla Procura, dalle quali emergerebbe il ruolo attivo di Latorre e D’Alema nella scalata. D’Alema urla al complotto, annuncia querele ai giornali, invoca il diritto alla privacy e rilascia interviste fiume a TG5 e giornali per denunciare “la spazzatura”, ma intanto si affretta, davanti alle telecamere di Ballarò, a candidare Walter Veltroni a segretario del Partito Democratico.

Improvvisamente, anche Bersani e la Finocchiaro, dati per sicuri fino a qualche giorno prima come possibili candidati per la leadership assieme a Fassino e D’Alema, sempre per il famoso patto anti-Walter stipulato al IV Congresso, si fanno indietro e Veltroni, che già tutti vedevano con le valigie in mano per partire per l’Africa, si trova nell’invidiabile posizione di diventare il candidato unico dei DS.

Ironico Giampaolo Pansa, sull’Espresso: “Adesso è chiaro: è stata Clementina Forleo a candidare Walter Veltroni alla leadership del Partito Democratico. Se cercavamo un grande elettore di Superwalter, bastava andare al Palazzo di Giustizia milanese e bussare alla porta di questa giudice d’acciaio.

Ma non basterà nemmeno Veltroni a salvare il centrosinistra e, soprattutto, il suo primo partito dal discredito e dalla Questione Morale (molto semplicemente perché eviterà di affrontarla, facendo pulizia interna): tempo 15 mesi e i dalemiani, ripresisi dallo scandalo e avendo usato l’ex-sindaco di Roma come parafulmine, si riprendono il partito e candidano Bersani. Il quale, però, si ritrova tra le mani un partito nato morto, senza storia e senza ideali, ucciso dal falso unanimismo di quell’estate del 2007 che portò lui e la Finocchiaro a ritirarsi dalla corsa a segretario e a trasformare Veltroni in un Messia che non era, in un salvatore che mai sarà e mai potrà essere.

E così si spiegano l’antipolitica, Grillo, i rottamatori, Di Pietro, Vendola e altri fenomeni frutto del populismo, della rabbia, dell’esasperazione degli animi e del disgusto, che continuano ad ingrossare le fila dell’astensione e a mantenere ancora a galla, nonostante bunga-bunga, minorenni e scandali, Silvio Berlusconi.

 Il fallimento politico-morale dei presunti eredi di Berlinguer (perchè a ben vedere sono stati semplicemente i meri successori storici) non è solo il fallimento di una classe dirigente, ma di un’intera generazione che ha distrutto ideali, passione, entusiasmo. Perché quando dalla politica allontani i disinteressati, quelli animati dalla sola convinzione che si sta meglio solo quando si sta bene tutti (che poi è il pensiero base del socialismo), rimangono sulla scena solo arrivisti, interessati, arraffoni e imbecilli. Che usano la sfiducia e la rabbia per costruirsi rendite di posizione che sfrutteranno finchè sarà possibile.

Profetico il commento di Olga D’Antona, moglie di Massimo, ucciso nel 1999 dalle nuove BR: “Con dolore, ma dico sì a Mussi. Il Pd avrà le facce di Craxi e Sofri senza un posto per Berlinguer. E così è stato.

Ma forse, per riprendersi da questa disfatta e da questa crisi, sarà il caso di trovare un nuovo posto a Berlinguer, perché lui, da morto, è molto più vivo dei tanti morti viventi che affollano questa Sinistra. E mi riferisco anche, ovviamente, a certi rottamatori troppo ansiosi di archiviare il passato senza farci i conti. Perchè un partito senza memoria non esiste. Perché una Sinistra senza valori ideali non vive e non vince.

59 commenti su “Il Fallimento politico-morale dei presunti eredi di Berlinguer”

  1. Quali eredi? Berlinguer non avrebbe né tollerato né permesso che i suoi elettori si vergonassero di essere italiani e di essere rappresentati all’opposizione (?) da fascisti travestiti da uomini di sinistra.

  2. L’eredità politica di Enrico Berlinguer, non ha avuto la possibilità di essere raccolta da alcuno; Lui morto le correnti si sono date da fare per rinforzarsi in ogni Federazione e, si sono verificate le prime crepe organizzative, allo scioglimento del PCI non è stata presentata neanche una mozione contro lo scioglimento e, questo dice quale era il tasso del valore di quella direzione all’atto della chiusura.

  3. dopo le dichiarazioni di fassino,veltroni, che la questione morale era un limite della politica del PCI,sara’ dura affermare che la questione morale e’ una questione politica,e quindi da inserire nei programmi del centro-sinistra.anche perche’ tutta una generazione di politici,dai municipi al parlamento si e’ formata con una concezione della politica non gia’ come servizio da renre ai cittadini,ma come strumento per la propria affermazione personale;certo ci sono delle eccezioni che purtroppo non incidono nell’etica generale.

  4. Non l’hanno mai ignorata, solo che in questa società, spaccata e senza valori, viene fatta passare per moralismo e antiberlusconismo. I valori ,la morale e tutto il resto, dovrebbero essere prerogativa di ogni singola persona. Facile a dirsi !!!

  5. @carlo, anche io ero li!! purtroppo enrico è mancato troppo presto. l’italia, quell’italia che vorrebbe riemergere da questa melma avrebbe bisogno ancora di lui….

  6. condivido in pieno Carlo,in più voglio aggiungere che gli eredi di Berlinguer non si trovano in questi politici da strapazzo se no offendiamo la memoria di Berlinguer. MA I VERI EREDI SIAMO NOI DEL POPOLO, QUELLI CHE SENTONO DI ESSERE COMUNISTI DENTRO è CHE NESSUNO PUò CANGELLARE QUESTO IDEALE.

  7. enrico è morto, purtroppo tropo presto, ma continuare aa ricoirdalo fa bene , ma i tempi sono cambiati il berlusconismo ha creato una societa, menefreghista.ma noi , della sinistra , sappiamo farci del male da soli anche senza berlusconi, basta leggere i commenti ,sappiamo solo criticare e non costruire niente noi , dico noi base, dovremmo aiutare , e non distruggerci a vicenda

  8. LA rivoluzione culturale e sociale di un ominicchio che per farsi re tirò tutti giù nella merda! però però però… non servono manifestazioni (servono anche quelle) serve avere non rigore morale, basta anche solo una morale!!!

  9. E’vero, la sinistra dopo di lui ha fatto un errore via l’altro, ma secondo me si può ricominciare, senza perderci d’animo. Secondo me la federazione della sinistra ha bisogno di una cosa sola: del nostro continuo appoggio e poi vedrete!

  10. sono disarmato, dalle sensazioni mi trovo a confrontarmi con i fatti .
    roberto

    disastro della sinistra post Berlinguer

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