“Vivo perché la memoria non muoia” – Piero Terracina

La sua vita cambiò a 15 anni, nella notte del 7 aprile 1944, quando venne portato via insieme alla sua famiglia dalle SS nel ghetto romano, mentre pregavano per la Pasqua. Raccontava che, probabilmente, furono venduti da un ragazzotto che era stato rifiutato da sua sorella Anna, per vendetta e per soldi: un ebreo valeva 5 mila lire, loro erano in otto, erano tanti soldi in tempo di guerra. La tesi fu avvalorata dal fatto che tra i fascisti che li stavano portando a Regina Coeli, Anna riconobbe quel ragazzo. 

Non amava le celebrazioni, le trovava retoriche, ma amava andare nelle scuole a parlare coi giovani, per raccontare la sua storia, quello di un ragazzo che diventa “fuori legge” perché ebreo e sopravvive all’orrore dell’Olocausto lasciando però nei forni di Auschwitz tutta la sua famiglia. 

Era preoccupato dal clima di odio e intolleranza che ha portato, tra le altre cose, all’assegnazione della scorta a Liliana Segre. Alimentato dalle diseguaglianze economiche e dalla necessità del sistema di trovare un capro espiatorio che non abbia grandi mezzi per difendersi dalle masse, in genere l’altro, il diverso, lo straniero. 

Quando gli chiesero in una scuola cosa gli avesse dato la forza di vivere, disse: “Oggi vivo perché la memoria non muoia“. Oggi ci ha lasciato, all’età di 91 anni, e il testimone che ci lascia è pesante e importante. Perché come disse Primo Levi: “È accaduto, quindi potrebbe accadere di nuovo“.