#SkamItalia non deve morire

Io cominciai a seguirla un po’ per caso, incuriosito dal sommovimento di fan che invadeva Twitter: mai avrei pensato di farne parte anche io, tanto da mettermi in fila alle 2 del pomeriggio di una domenica di inizio estate con 39 gradi a Milano per ascoltare il regista e i due attori principali della serie a discutere di “amore”.

Skam è un fenomeno mondiale nato in Norvegia, ma il suo remake italiano non solo non ha nulla da invidiare all’originale ma è pure tra i remake più apprezzati all’estero: è un prodotto che, sia per la bravura di attori e regista che per i temi che tratta, dimostra ancora una volta che gli italiani, se vogliono, sanno fare bene e non sono figli di nessun dio minore (come la vulgata odierna vuol far passare).

In un Paese normale, un prodotto di successo con centinaia di migliaia di fan in tutta Italia (e altrettanti all’estero) dovrebbe rendere orgoglioso tutto il sistema. Siccome siamo in Italia e il produttore è stato per tre stagioni un contenitore che evidentemente soffre dello stesso provincialismo che infetta le nostre istituzioni, allora viene chiuso.

La ragione? Pare i ricavi bassi. Dico pare, perché ad oggi, nonostante i fan abbiano “rotto l’internet” e il caso “Skam Italia” si contenda il primato di discussione su Twitter con la crisi di governo made in Salvini, Tim una risposta chiara e convincente non l’ha data.

Il regista, Ludovico Bessegato, ha spiegato sui suoi canali social che la quarta stagione, che avrebbe avuto per protagonista Sana, teenager musulmana di seconda generazione, non sarà più prodotta da Tim Vision, che però, con un infantilismo che lascia stupefatti, si rifiuta di cedere le prime tre stagioni ad altri player che vorrebbero produrla. In sintesi, “io non voglio più giocare ma mi porto via il pallone, così non giocate nemmeno voi”. È la mentalità imprenditoriale italiana, darling.

Sarà che viviamo in tempi bugiardi, ma faccio fatica a credere che il problema sia meramente economico. Skam Italia ha infatti svolto in un paio d’anni un lavoro culturale di primo piano nell’abbattere pregiudizi e stereotipi sul mondo dei teenager tra i teenager, bombardati dalle fake news e dall’odio diramato a reti e social unificati da Matteo Salvini e la sua perversa macchina del consenso.

Ha raccontato in maniera semplice e comprensibile, soprattutto sul tema dell’amore tra persone dello stesso sesso, che la diversità non è un problema, anzi è una risorsa per la società, che la normalità non esiste (come del resto sa chiunque abbia preso in mano un libro base di antropologia e sociologia, come scrivemmo anni fa) e che valori come l’amicizia, l’amore, la solidarietà, l’uguaglianza e il rispetto degli altri vanno coltivati e difesi, perché da soli non si va da nessuna parte.

Insomma, la narrazione portata avanti da Skam Italia, che racconta un’Italia diversa (e più bella) mette in crisi la presunta egemonia culturale del sovranismo sfigato di casa nostra, che ogni giorno ci viene raccontata dai giornali (anche quelli di Sinistra) come qualcosa di ineluttabile e incontrastabile. Raccontare la storia di Sana, teenager di fede musulmana che indossa il velo, smontando la marea di pregiudizi su quell’ambiente sociale, diventa addirittura eversivo in tempi in cui salvare vite umane è diventato reato (grazie Presidente Mattarella per aver firmato quella porcata incostituzionale). Per questo è importante che la serie venga prodotta.

La chiusura di Skam Italia sarebbe un gran favore a Salvini e soci, in difficoltà per gli scandali (dal Russiagate ai 49 milioni) e in corsa per conquistare definitivamente l’egemonia culturale (per dirla alla Gramsci) prima ancora che quella politica. Il semplice slogan “Share The Love”, mutuato dalla canzone di Cesare Cremonini, contrasta con la cultura dell’odio veicolata dalla rete social di Salvini.

E quindi? E quindi Skam Italia non deve morire. Penso che attori e regista dovrebbero lanciare una campagna di crowdfunding (con ricompense tarate sull’importo donato: dalle magliette a una cena col cast) per finanziare la quarta serie, come succede spesso all’estero, costituendo un comitato ad hoc.

Ci sono centinaia di migliaia di persone già pronte a donare (tra cui il sottoscritto), tutte parte di un movimento culturale vasto che sta “rompendo l’internet”. E le prime tre stagioni? Si recuperano dopo, quando si è prodotta la quarta serie e si è data una lezione di stile a un player provinciale probabilmente troppo compiacente con il “comune sentire” di questi tempi.

Si può fare. Facciamolo.