Grazie, Professore

Concludeva le mail sempre con un “Grazie infinite, e un abbraccio, Stefano“. Si firmava col nome, come se ci conoscessimo da sempre e fossimo vecchi amici, anche se ci eravamo visti un paio di volte, la prima in quella puntata di Brontolo su Enrico Berlinguer organizzata dal grande Oliviero Beha, anch’egli recentemente scomparso.

Ricordo ancora quella prima volta: io, molto più timido di quel che si creda, rimasi interdetto dal sapere che avrei dovuto dialogare con due giganti come Stefano Rodotà e Giovanni Sartori. Lui, Rodotà, fu il primo degli ospiti ad arrivare dopo di me: appena entrò mi vide e si presentò, appunto, come “Stefano”. Era il 2012, aveva 79 anni. Quando gli raccontai che ero lì perché avevo creato enricoberlinguer.it, con mia grane sorpresa mi rispose: “Ah, sei tu allora… complimenti, è davvero una grande cosa, l’ho visitato spesso“. A dimostrazione della sua capacità di andare oltre gli stereotipi e di affacciarsi a mondi diversi dal suo.

Mentre Sartori non si degnò nemmeno di rispondere al mio saluto e mi guardò dall’alto verso il basso per tutta la trasmissione, Rodotà mi trattò tutto il tempo come fossi un suo pari: aveva questo dono di non farti pesare la sua enorme cultura ed esperienza politica. Diede una lezione di stile a tutti, che continuò anche nel dietro le quinte. Nel tragitto di ritorno in macchina mi lasciò il suo numero di telefono e mi disse di chiamarlo quando ne avevo voglia: non ho mai avuto il coraggio di disturbarlo, continuai a scrivergli mail.

Come quella volta in cui con questo blog decidemmo di candidarlo a Presidente della Repubblica proprio all’indomani delle disastrose elezioni politiche del 2013: sì, perché siamo stati noi, non Grillo, a candidarlo; e siamo sempre stati noi a raccogliere 60mila firme per la sua candidatura, ben prima che il M5S si accorgesse della sua esistenza. Un fatto che mi ha confermato Sergio Staino ieri a Fano, quando mi ha raccontato che all’epoca Rodotà aveva rivendicato in una telefonata con lui il fatto di essere “il candidato della rete”, non di “Grillo”. Ed era vero.

Come è andata è noto: il PD di Bersani provò ad imporre la candidatura di Franco Marini, rovinosamente caduta in Parlamento; insistette con Prodi, solamente per impallinarlo una volta di più; aspettò che il M5S, che aveva avviato le “Quirinarie” con in testa la Gabanelli e Strada, si appropriasse di un’icona della Sinistra quale era Rodotà, solo per giustificarne il mancato appoggio.

Può sembrare retorico, ma quando ho appreso la notizia della sua morte, allo sgomento iniziale è subentrato immediatamente un senso di solitudine e di vuoto; Stefano Rodotà per i giovani come me continuava a essere un faro, una guida, un grandioso stimolatore del pensiero e dell’azione. Leggerlo e ascoltarlo erano una necessità nel deserto culturale che vige a Sinistra.

L’ultima volta che ci siamo sentiti, qualche mese fa, sempre via mail, mi disse che non poteva spostarsi da Roma perché stava poco bene. Era talmente pieno di vita e “ottimista della volontà” che mai avrei immaginato se ne andasse così: era talmente scontata la sua presenza, che non arrivi a immaginare nemmeno per un attimo la sua scomparsa. Anche quella volta concluse la mail con “Grazie infinite, e un abbraccio, Stefano“.

L’Italia con Stefano Rodotà al Quirinale sarebbe stata un Paese diverso. Non so dire quanto migliore, ma sicuramente diverso. E molto più degno della sua storia. Grazie, Professore. Continueremo la sua lotta, con lo stesso rigore intellettuale e la stessa tensione morale.

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