#IoNonEsisto, cronache dall’orrore ceceno

Sei un cane e non meriti di vivere!”. Uno sputo sulla faccia. Questo è il buongiorno che ricevo ogni mattina.

Faccio fatica ad aprire gli occhi. Fanno male. Perché colpiti da mani che non partoriscono una carezza da tanto, troppo tempo. Non riesco a vedere i miei aguzzini. Non so che viso hanno. E non lo voglio sapere. Farebbe ancora più male rendermi conto che quelle mani appartengono ad un ‘uomo’. Ma in ogni caso non avrebbe importanza, perché prima che io possa finire questa lettera, sarò già morto.

Non riesco a vedere ma riesco a sentire. A sentire il dolore. Il mio e quello degli altri che si trovano nelle altre stanze. Cerco di tapparmi le orecchie, la notte. Le urla non mi fanno dormire. Sono urla strazianti, che fanno più male dei calci e dei pugni. Perché calci e pugni fanno volar via pezzi di pelle e carne. Le urla fanno saltar via pezzi di anima.

Impari a riconoscerle, quelle urla. Impari ad associare ogni minima flessione della voce a ciò che stanno facendo sul corpo di un uomo. Ogni grido diventa il tuo. Riconosci le urla di chi viene picchiato con tubi di ferro o di plastica. Riconosci le urla di chi viene preso a calci, nudo per terra. Riconosci le urla di chi viene bastonato. E la paura ti assale. Perché sai che fra poco toccherà di nuovo a te.

Muori dentro. Perché prima di toglierti i vestiti ti spogliano della tua umanità. Ci costringono a ballare nudi davanti a loro, mentre ci coprono di sputi ed insulti. Ti colpiscono lì dove sanno che non puoi difenderti. Hanno minacciato ritorsioni contro la mia famiglia, contro i miei cari, se non avessi fatto altri nomi. Nomi di altre persone come me. Come tutti noi qui dentro. Noi, trattati come i peggiori criminali. Noi, che siamo omosessuali. Noi, che abbiamo l’unica colpa di amare un altro uomo.

E ti chiedi perché. Perché siamo costretti a vivere tutto ciò. Noi vittime innocenti. Come tante. Come troppe. Viviamo in un mondo in cui chi utilizza armi chimiche è a piede libero, mentre chi ama è torturato e seviziato. Perché?

Tremo. Le urla nella stanza accanto alla mia sono cessate. Rumore di passi. Verso la mia, di stanza. Un calore tiepido si diffonde dall’inguine, giù fino ai piedi. Non riesco più a controllarmi ormai. Le scariche elettriche sul mio corpo non mi consentono più di farlo completamente. A terra, si è formata una pozza. Non riesco proprio ad aprirli, gli occhi. Nella pozza, riesco a vedere riflessa solo una specie di ombra. È quello che ormai rimane di me. Ma non sopporterei di vedere altro. Non sopporterei di vedere come mi hanno ridotto.

Ho voluto racchiudere cosi, in un’unica ipotetica lettera, tutte le barbarie, tutte le singole testimonianze che provengono giorno dopo giorno, ora dopo ora, da chi ha vissuto questo orrore in un ‘campo di concentramento per omossessuali’ in Cecenia. Ho voluto raccontarle cosi, perché sentir parlare in un racconto in prima persona di dolore, umiliazione e torture è tutt’altra cosa rispetto ad un freddo racconto di cronaca.

Tutto questo sta succedendo in Cecenia. Dove Alvi Karimov, portavoce del leader ceceno Ramzan Kadyrov, per smentire tutte queste testimonianze ha affermato:

Non puoi arrestare o reprimere persone che semplicemente non esistono nella repubblica. Se queste persone esistessero in Cecenia, le forze dell’ordine non dovrebbero preoccuparsi perché le loro stesse famiglie li manderebbero in luoghi da cui non potrebbero più tornare.

Non c’è bisogno di ulteriori commenti. Tutto questo sta succedendo oggi. E noi non possiamo rimanere in silenzio.

Perché, per la mia ipotetica lettera, voglio scrivere un finale diverso da questo:

“Rumore di chiavi nella serratura della mia stanza. Tremo. Ma con la consapevolezza che non possono uccidere chi è già morto”.

 

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