#BastaunSi? #MaAncheNO – la controriforma del Titolo V

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Un altro pezzo consistente della riforma Renzi-Boschi interessa il Titolo V della II parte della Costituzione che disciplina la ripartizione delle competenze legislative e regolamentari tra Stato e Regioni. Se nel 2001, con l’allora legge costituzionale votata sul finale di legislatura dal centrosinistra, si andava verso un decentramento a favore delle Regioni, qualora vincesse il Sì si produrrebbe un forte accentramento dei poteri in capo allo Stato centrale a discapito delle regioni a statuto ordinario, che perderebbero gran parte delle competenze in nome di una maggiore efficienza e razionalizzazione della spesa (mentre le regioni a statuto speciale, oramai prive di qualsiasi ragion d’essere, non verrebbero minimamente scalfite e continueranno a mantenere il proprio strapotere di spesa). Ma andiamo a vedere nel dettaglio i contenuti della contro-riforma del Titolo V.

In primo luogo, viene formalmente eliminata la competenza concorrente, la quale attualmente prevede che in determinate materie sia lo Stato a dettare i principi fondamentali mentre alle regioni spettino le norme di dettaglio. È un modello di cooperazione tra enti territoriali astrattamente virtuoso ma che non sempre ha dato i frutti sperati, per responsabilità di un po’ tutti i soggetti in questione. Con la riforma si assiste alla redistribuzione delle materie di competenza concorrente tra la competenza esclusiva statale (nella maggioranza dei casi) e la competenza regionale.

Competenza esclusiva dello Stato ex-materie di competenza concorrente Competenza regionale
Commercio con l’estero
Professioni
Ordinamento sportivo
Ordinamento della comunicazione
Produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia
Previdenza complementare e integrativa
Tutela e sicurezza del lavoro
 
  Sostegno all’innovazione per i settori produttivi Promozione dello sviluppo economico locale; organizzazione regionale dei servizi alle imprese
Ricerca scientifica e tecnologia
Alimentazione
Protezione Civile
Porti e aeroporti civili
Grandi reti di trasporto e di navigazione
 
Disposizioni generali e comuni sull’istruzione; ordinamento scolastico e istruzione universitaria; istruzione e formazione professionale Istruzione Servizi scolastici, promozione del diritto allo studio, anche universitario, organizzazione In ambito regionale della formazione professionale.
Disposizioni generali e comuni per la tutela della salute Tutela della salute Programmazione e organizzazione dei servizi sanitari
Disposizioni generali e comuni sul governo del territorio; infrastrutture strategiche Governo del territorio Pianificazione del territorio regionale e mobilità al suo interno e dotazione infrastrutturale
Tutela e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici Valorizzazione dei beni culturali e ambientali Disciplina, per quanto di interesse regionale, della promozione dei beni ambientali, culturali e paesaggistici
Disposizioni generali e comuni sulle attivita’ culturali Promozione e organizzazione di attivita’ culturali Disciplina, per quanto di interesse regionale, delle attivita’ culturali
Coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario Coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario Regolazione in ambito regionale delle relazioni finanziarie tra enti territoriali ai fini del rispetto degli obiettivi di finanza pubblica

Altra modifica di grande impatto sarà l’attribuzione allo Stato di molte materie oggi rientranti nella sfera di competenza legislativa delle regioni. L’elenco delle competenze esclusive statali si allunga ancor più, arrivando fino alla lettera z) del secondo comma dell’art. 117 Cost. Pur riconoscendo la necessità di riaccentrare la disciplina di alcuni settori per dettarne norme comuni, non si può nascondere che la foga riformatrice si è spinta ben oltre rispetto a quanto fosse davvero opportuno, sbilanciando gli equilibri tra i diversi enti.Molte di quelle attribuite allo Stato, nella riscrittura delle norme, vengono precedute dall’espressione «disposizioni generali e comuni…» (es. «…sulle attività culturali»; «…per la tutela della salute»; «…sull’istruzione»; «…sul governo del territorio»; etc). Ma cosa sono, nella sostanza, queste «disposizioni generali e comuni» – su cui altro non si dice – se non i principi fondamentali riservati allo Stato dalla “attuale” competenza concorrente? La riforma, quindi, finge di eliminare quella che è stata additata come una delle principali cause dell’elevato contenzioso tra Stato e regioni, ma in sostanza quasi nulla cambierà: la competenza concorrente, per come la conosciamo, uscirà dalla porta ma rientrerà dalla finestra (sotto l’etichetta di «disposizioni generali e comuni»).

Inoltre, viene previsto che, su proposta del Governo, la legge statale possa intervenire anche in materie regionali, invocando la “clausola di supremazia“, introdotta al quarto comma del nuovo art. 117: attraverso questa clausola lo Stato potrà spogliare ulteriormente le regioni di competenze invocando semplicemente un presunto «interesse nazionale» o la necessità di un intervento legislativo per assicurare «l’unità giuridica o economica della Repubblica». Così prevedendo, la garanzia costituzionale delle competenze legislative regionali rischia di svanire, in quanto «interesse nazionale» e «unità giuridica o economica» sono espressioni politiche, interpretabili nei modi più diversi e più funzionali alla volontà politica della maggioranza di turno.

Appare evidente, quindi, che vi è un rischio concreto di arrivare a privare le regioni, che sono importanti istituzioni rappresentative delle popolazioni locali, di molte (e rilevanti) funzioni legislative, rendendole quasi, così temono diversi costituzionalisti, enti meramente amministrativi.

Alla luce di quanto affermato, nella riforma del titolo V si assiste a un passaggio da un modello cooperativo ad un modello competitivo tra Stato e regioni, da un principio di leale collaborazione a un principio di gerarchia istituzionale tra il primo e le seconde. Ciò – come si può immaginare – non attenuerà l’alta conflittualità già in corso tra enti territoriali, ma la aumenterà, in una gara a chi riesce a ritagliare per sé il maggior potere decisionale.

Viene poi rafforzato un istituto introdotto con la riforma del 2001 ma in realtà mai utilizzato, il regionalismo differenziato, vale a dire l’istituto per il quale le regioni potranno rivendicare competenze legislative ulteriori (giustizia di pace, politiche sociali, istruzione, commercio con l’estero, beni culturali, ambiente, governo del territorio)

Infine, sempre a proposito enti territoriali, vengono eliminate le previsioni costituzionali inerenti alle province. Si faccia attenzione: le province non verranno abolite ma “decostituzionalizzate”, ossia saranno eliminate dalla Costituzione ma permarranno come enti. Le province di 14 comuni capoluogo (Torino, Milano, Venezia, Genova, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Reggio Calabria, Messina, Catania, Palermo, Cagliari) sono state trasformate in città metropolitane a partire dal 2014 e tali rimarranno. Inoltre, contestualmente alla eliminazione dalla Costituzione del termine «provincia», vengono creati – come prevedono le disposizioni finali del ddl di riforma – gli «enti di area vasta». Cosa saranno tali nuovi enti non si può ancora sapere con certezza, in quanto la loro attuazione è demandata a una legge dello Stato (per i profili ordinamentali generali) e alle leggi regionali (per la restante disciplina). Si può ritenere però, con tutta probabilità, che essi prenderanno il posto delle restanti 93 “ex Province”.

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Anche in questo caso, siamo in presenza di una finzione, di un “gioco” linguistico con cui vengono cambiati denominazioni e termini, ma la sostanza resta la stessa. Una sola rilevante modifica viene apportata: le assemblee rappresentative, tanto delle città metropolitane quanto delle attuali province (e dei futuri «enti di area vasta»), non sono (e non saranno) più elette a suffragio universale, bensì a suffragio ristretto dai sindaci e dai consiglieri comunali dei comuni che ne fanno parte. Allo stesso modo – come già adesso previsto – i sindaci dei comuni capoluogo di provincia assumono per legge anche la carica di sindaco metropolitano o di presidente della provincia, raddoppiando automaticamente incarichi e funzioni (senza che alcun cittadino residente in un comune diverso da quello capoluogo abbia potuto votarli). Oltre che al Senato, i cittadini perderanno anche il diritto di eleggere i propri rappresentanti in un ente locale. Non c’è che dire: particolare come idea di democrazia.

Una menzione speciale la merita invece il riferimento nell’art. 123 al «commissario del governo», che dal 1948 fino al 2001 era un organo di controllo presente in ogni Regione che doveva vistare le leggi regionali: quest’organo non esiste più da 15 anni, cancellato dalla riforma del 2001, eppure così come si erano dimenticati ai tempi di eliminarne la previsione costituzionale nell’articolo relativo agli Statuti regionali, anche questa volta è “sfuggito” ai novelli padri costituenti. Capita quando si fa una “grande riforma” in fretta e furia, come fu fatto nel 2001 e come è stato fatto oggi.

Aveva ragione Gramsci: «la storia è maestra ma non ha scolari». Ancora qualche dubbio sul perché votare No?