#Referendum, quel falso mito della governabilità

C’è una strana coalizione a sostegno della riforma costituzionale Renzi-Boschi: Confindustria, pezzi grossi dell’imprenditoria renziana come Farinetti, agenzie di rating, governi esteri. Si minaccia da più parti il crollo economico, la fuga degli investimenti e tra le righe delle dichiarazioni provenienti dall’agenzia Fitch si può leggere una velata minaccia di tagliare la valutazione dei titoli italiani. Bello, questo primato della politica. Ricordiamocene quando ci spacciano tutto questo per governabilità, magari venendo a ripetere la solita solfa dei 63 governi in 63 anni, come ha fatto l’ambasciatore americano John Philips. Una piccola considerazione: sembra che Philips abbia trascurato alcune nozioni di politologia. Non si può valutare il buon funzionamento di un sistema politico solo sulla stabilità del governo. Bisogna considerare di paese in paese quale sia l’equilibrio dei poteri tra le istituzioni.

Per esempio, se si scavasse un po’ più in profondità sarebbe facile smascherare il tanto esaltato presidenzialismo statunitense. Dal 1947 fino ad oggi, per ben 44 anni su 69 negli Usa si è governato (e si continua a farlo) in regime di coabitazione: un partito controlla la Casa Bianca, ma il Congresso è in mano all’opposizione. In alcuni momenti è anche accaduto che la maggioranza presidenziale controllasse una camera e l’opposizione l’altra. In queste condizioni accade spesso che il Presidente debba inventarsi una maggioranza per ogni legge. Poiché i partiti americani hanno un’ideologia debole e lasciano ampia autonomia ai singoli parlamentari, non accade raramente che il voto favorevole di un deputato venga letteralmente comprato, magari inserendo nel disegno di legge un piccolo provvedimento ad hoc che dia qualche vantaggio al collegio elettorale da cui proviene il deputato. Risultato? La legge riesce ad avere una maggioranza e ciascun parlamentare potrà vantarsi con i suoi elettori locali di aver strappato alcuni benefici per la comunità. Un sistema che rischia puntualmente il blocco. Dietro la figura granitica del Presidente si nasconde un colosso dai piedi d’argilla. Insomma, l’apparenza inganna.

D’altra parte può essere utile ricordare agli estremisti della governabilità italiani e stranieri che per il tanto bistrattato parlamentarismo nostrano vale il ragionamento inverso. Durante la Prima Repubblica abbiamo avuto 49 esecutivi (se vogliamo escludere il governo Ciampi, una sorta di ibrido storico) in 43 anni. Tantissimi, sembrerebbe. Eppure, se proviamo anche in questo caso a scavare in profondità, troviamo una fortissima stabilità delle maggioranze prevalenti in Parlamento, salvo brevi parentesi: il Comitato di Liberazione Nazionale (1946-’47), il centrismo (1947-’63), il centro-sinistra (1963-‘74), il compromesso storico (1976-’79), il Pentapartito prima e il Quadripartito poi (1981-’93). Inutile ricordare che ciascuna di queste formule aveva come chiave di volta la Dc. A proposito, curiosamente gli americani a quei tempi apprezzavano moltissimo quella che oggi chiamano “ingovernabilità”, perché teneva lontani i comunisti.

Affiora così un quadro molto più omogeneo della girandola tra berlusconiani, ulivisti, governi tecnici e larghe intese degli ultimi vent’anni. Qualcuno dirà che l’alternanza è stata una conquista della nostra democrazia. Io risponderò che, in generale, se un partito merita la maggioranza per decenni ha tutto il diritto di farlo. In Svezia dal 1932 ad oggi i socialdemocratici hanno accumulato un totale di 63 anni al governo (dove si trovano tuttora), finendo all’opposizione solo in cinque tornate elettorali. Osereste dire che per questo la Svezia non sia una delle democrazie più mature e sviluppate al mondo?

La verità è un’altra: quella che in Italia viene fatta passare per alternanza è figlia di una volatilità elettorale senza precedenti. È il segno più tangibile che i partiti non riescono più a rappresentare le classi sociali. Capita, quando non si ha un progetto da proporre e ci si trasforma in un comitato elettorale al servizio del leader. Nella Prima Repubblica non era particolarmente importante il nome del Presidente del Consiglio, ma l’ideologia che ciascun partito rappresentava in Parlamento. Questo rendeva maggiore anche la qualità delle leggi. Vogliamo mettere lo Statuto dei Lavoratori con l’estenuante gimcana delle “rivoluzioni” di Treu, Biagi, Sacconi, Fornero e Poletti?

Questa non è un’apologia dei bei tempi andati. È la dimostrazione che il parlamentarismo non coincide con il caos e un governo forte non significa politica di qualità. Considerando che il parlamento è l’istituzione che riproduce la volontà popolare nella maniera più completa e fedele, è legittimo che questo sia il cuore del sistema politico. Preferibilmente coinvolgendo le opposizioni nell’attività legislativa, in maniera costruttiva. Ma questo richiede una forte maturità dei partiti, dei politici e in generale del popolo sovrano.

Credono che il parlamentarismo non funzioni? Bene, confrontiamo le nostre posizioni divergenti. Se proprio desiderano un esecutivo più forte, allora che propongano un sistema che lo legittimi seriamente: il semipresidenzialismo alla francese è un esempio. Ma creare maggioranze artificiali (Italicum) e ridurre i luoghi della democrazia (riforma del Senato) è il modo peggiore di farlo. La chiamano “democrazia decidente”, come se la democrazia di solito non decidesse! Se la mettiamo così, non sarebbe meglio chiamarlo plebiscitarismo?

19 commenti su “#Referendum, quel falso mito della governabilità”

    • Visto che la butta in caciara, le faccio una domanda sullo stesso tono: “Come si sta a governare con Verdini, Alfano, Casini & Co., con il plauso di JpMorgan, Marchionne Confindustria etc, e avere nel proprio partito fior fiore di deputati e senatori di Monti, con un premier che si dice sicuro che gli elettori di destra voteranno la riforma perché ha gli stessi principi ispiratori di quella berlusconiana?” Se vuole si va avanti, ma noi da tempo abbiamo motivato il nostro NO carte alla mano. Non perché ci sta antipatico Renzi. Saluti,
      PF

  1. Credo che House of Cards rappresenti abbastanza fedelmente certi meccanismi poco limpidi a Washington e nella politica in generale, in particolare riguardo l’influenza delle lobby. Tant’è che Renzi pare sia un grande fan di Frank Underwood.

  2. la sinistra non riesce proprio mai a farsi un’ esame di coscienza, la premiata ditta D ‘Alema Bertinotti ha fatto cadere il governo Prodi, D’Alema, 20 anni di bicamerale a braccetto con Berlusconi, conclusioni ,cambiamenti ?nada ,di nada opposizione ai varii governi Berlusconi, ridicola.L’ immobilismo assoluto.E ora la sx? Dem blatera fanno i ricatti i signor no,poi l’ha maggioranza l’ha votata,ma non si vergognano nemmeno un pochino di stà melina. Io tesserata PC ,non ho più preso la tessera dalla caduta del governo Prodi. Ora al referendum voterò SI, voglio vedere se si riesce a cambiare.

  3. Eh ma la maggioranza parlamentare in USA, è democratica o repubblicana? Allora se pensi e sai questo, ti renderai conto della difficoltà con cui un presidente come Obama, sia arrivato a fare ad esempio l’Obama care. Ed è logico che sulle armi sia difficile spuntarla.

  4. Beh, meglio i 5 Stelle che, coloro che hanno TRADITO i propri elettori. Nessuno dica a me, che ho vissuto la VERA SINISTRA di Enrico Berlinguer e Sandro Pertini che, il PD è sinistra perchè mi altero non poco. Nel PD sono confluiti gli ex DC e, vogliamo parlare dell’abbraccio che hanno avuto con Berlusconi ??? SI VERGOGNI sig.Motta e , associare i fascisti e razzisti ai 5 Stelle, proprio non comprendo. Signor Motta, lei forse non sa che, esiste un grandissimo FASCISTA, che vestì abiti da comunista e che comanda ancora…VERGOGNA

  5. Allora di cosa si vuol parlare di come si governa in America o di come non si governa in Italia? Una riforma che porti a dividere il ruolo delle camere e a diminuire il numero dei partiti serve (s secondo me). Se poi vogliamo attaccare Renzo perché è sponsorizzato dai poteri forti forse sarebbe bene avere come in America le lobby legali

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