Le manette, l’asfalto, la ruspa e il lanciafiamme

Nel Regno Unito laburisti, conservatori e nazionalisti allo sbando dopo il trauma della Brexit. In Francia il governo socialista sta forzando l’approvazione di una riforma del lavoro osteggiata dalla maggior parte del popolo. In Austria si dovrà ripetere il ballottaggio delle presidenziali per gravi irregolarità. In Spagna poi la governabilità è un rebus, la Grecia continua a dover negoziare periodicamente le riforme con i creditori internazionali e qui da noi la più importante riforma costituzionale di sempre è passata con i soli voti della maggioranza di governo, come se fosse una leggina qualunque. Tutto possiamo dire, tranne che la democrazia oggi sia in buona salute. È una malattia silenziosa, che si propaga mentre noi siamo occupati  a difenderci da assedi immaginari. Ma quale assedio? Quello di cui vogliono convincerci gli irresponsabili capitani di ventura nazionali che stanno paralizzando l’Europa? Come se il problema non fosse qui in mezzo a noi, tra la gioventù spaventata e il ceto medio che sprofonda. Come se i primi untori di questa malattia non fossero i grandi della finanza, coloro che muovono le leve dell’economia e che potrebbero garantire da soli una vita dignitosa a tutta la popolazione mondiale, se almeno lo volessero. Se almeno venissero costretti a farlo.

Che razza di democrazia è quella in cui la libertà individuale appartiene solo a chi ha abbastanza denaro e potere per acquistarla? Sembra di essere tornati all’Ottocento, quando il popolo grasso giustificava la miseria e lo sfruttamento con sofismi che nemmeno Gorgia da Lentini: quell’uomo lavora in miniera dodici ore al giorno per due soldi? Nessuno lo ha costretto a firmare il contratto, avrebbe anche potuto rifiutarsi. Avanti così, liberi ed eguali solo sulla carta. Allo stesso modo oggi ci convincono che la realtà è inevitabile. Ci dicono che bisogna adeguare la politica ai tempi veloci dell’economia, perché altrimenti blocchiamo la crescita. Ma da che mondo è mondo accade il contrario, ossia è la politica a gestire l’economia per assicurare la prosperità. Sostengono che la democrazia dia troppo potere a gente ignorante e irrazionale, ma intanto continuano a fare scempio della scuola pubblica e dell’università. Più comodo proporre l’introduzione delle “patenti di voto”, per escludere dal suffragio gli analfabeti funzionali così come una volta lo si limitava solo a coloro che sapessero leggere e scrivere. Secondo lo stesso principio delegittimano la democrazia diretta, sostenendo che i cittadini comuni non hanno le conoscenze adatte per decidere su qualcosa di importante. Allora meglio che tornino a fare i consumatori, felici e rabboniti nel loro ottundente consumismo. Le piazze si svuotano e si riempiono i centri commerciali, le ideologie sbiadiscono di fronte alla seduzione del tutto e subito.

Intanto la politica si trasforma in qualcosa di vuoto, perché perde tutto il suo potenziale trasformatore della società. I simboli dei partiti diventano marchi, i leader nulla più che modelli da vetrina caratterizzati da un’immagine ipertrofica e più che mai costruita. La militanza diventa più simile al tifo sportivo e questo esclude ogni possibilità di dialogo: in un campionato ci sono vincitori (uno o pochi) e sconfitti (molti), senza appello. Lo vediamo in questi ultimi tempi nel cambiamento preoccupante del linguaggio politico. Le manette, l’asfalto, la ruspa e il lanciafiamme. Ci manca solo qualcuno che evochi i combattenti  di terra, di mare e dell’aria.  Una violenza inaudita che squalifica l’avversario, lo riduce a nemico da abbattere invece di elevarlo a soggetto con cui confrontarsi lealmente. Ebbene, questo capita quando alla politica non rimangono più argomenti per creare un’identità comune, a parte il classico vecchio trucco di distinguere tra puri e impuri. In breve, quando la politica non è più politica ma brutalità.

Adesso, la democrazia è l’unico regime politico realizzato stabilmente che non fondi la sua legittimità sulla violenza. Essa ha necessariamente bisogno di pluralismo, perché è nemica dell’omologazione. Ebbene, chiunque umilia l’avversario sia consapevole che il suo è un comportamento antidemocratico. Oggi più che mai è necessaria una grande coalizione di coscienze che, nella diversità delle idee, torni a sfidare un’élite che ci vuole docili e conformisti. O ci teniamo il nostro sistema liberista e consumista oppure ci riprendiamo la democrazia. Tertium non datur.

12 commenti su “Le manette, l’asfalto, la ruspa e il lanciafiamme”

    • infatti. il più grande problema della democrazia sono gli stipendi dei politici. basta con casta. cacciamo via la politica dal potere. onestà, onestà, onestà (ecc. ecc. eccetera)

    • Il dimezzamento degli stipendi ai parlamentari è una toppa cucita male che sposta l’attenzione dal vero problema. I fondi non sono da ritrovare negli stipendi di chi fa, più o meno, il suo lavoro ma nella cattiva gestione della Repubblica. In Italia c’è moltissima burocrazia, pesantezza di normative, infinita corruzione. Ci sono obiettivi di maggiore importanza rispetto ad una lezione di cucito politico.

    • @Adriano, esattamente con “voi” a chi ti riferisci? A noi no di certo, ma essendo questo un articolo di questo blog sulla crisi della democrazia e della politica, cosa c’entra che in Parlamento abbiano votato contro la riduzione a 3500 euro netti degli stipendi alla Camera?

    • Adriano Palazzi saremmo ansiosi di conoscere la tua risposta in proposito. Ti posso assicurare che in Italia ci sono molte operazioni che farebbero incassare allo Stato molto più del taglio degli stipendi. In più, la decurtazione di una parte dello stipendio non è un’operazione così democratica come si può pensare.

    • cambiare idea è legittimo, e noi comunisti ci siamo battuti sempre perché chi la cambia venga rispettato. Per il resto vale la storia che abbiamo scritto prima durante e dopo il fascismo ma se uno cambia idea almeno ricordasse ce fino ad ora LA PUÒ CAMBIARE SENZA RITORSIONI! almeno questo riconoscetecelo!

  1. La questione è purtroppo molto semplice ed analizzata alla perfezione nel libro del grande sociologo Luciano Gallino “Finanzcapitalismo”. Egli spiega come il finanzcapitalismo sia una di quelle che vengono definite macchine sociali, cioè immani costrutti costituiti dall’opera di migliaia o milioni di individui che non possono essere considerati singolarmente. Era una macchina sociale la struttura dell’antico Egitto, dove la massa degli schiavi formava un corpus unico, che non aveva senso scindere nelle sue più piccole componenti.

    Il sistema capitalistico finanziario mondiale funziona nello stesso modo: lavorando al livello di quella che viene chiamata economia-mondo, risente sempre meno di quei vincoli politico-culturali che l’uomo si è creato nel corso dell’evoluzione delle strutture di governo. Non ha più senso dialogare con stati o enti governativi, poiché il costrutto dell’economia mondiale iscrive dentro di esso tutti questi soggetti, spesso sopravanzandoli in termini di interessi e volontà. Per questo ora come ora i ministeri più forti e più importanti per i paesi sono quelli economici.

    Tutto viene declinato nei termini dell’economia mondo e tutto segue i suoi ritmi, partendo dal presupposto che la crescita possa essere infinita. Ma inevitabilmente questo sistema arriva a scontrarsi con quelle barriere politiche che sono predisposte nei sistemi democratici. Barriere di natura etica e che toccano in massima parte i diritti dell’uomo e del cittadino. In una società però dove non esiste praticamente più ne uomo nel cittadino, ma solo consumatore, questi vincoli diventano dannosi per il sistema economico mondiale, che tende fare pressioni suo governi per limitare e ridurre, lentamente ma inesorabilmente, i diritti.

    Minori sono i diritti, minore è la democrazia, maggiore sono le popolazioni assoggettate a governi forti e più o meno autoritari, maggiore è la possibilità per il sistema economico finanziario mondiale di continuare a portare avanti il suo obiettivo, quello della crescita infinita ed esponenziale.

    Questa situazione, in una tragica riedizione di ciò che accadde a ridosso della seconda rivoluzione industriale, crea un ricordo storico, dove vediamo il sorgere di nuovi soggetti politici e governi che fanno del plebiscitarismo il loro principale punto di forza: qualsiasi giudizio diventa un giudizio sull’operato del capo, e il capo si attornia di persone fedelissime, messe li apposta per accettare (e far accettare) qualunque cosa esso proponga. Dall’altra parte vi è una sorta di ritorno dei partiti di massa tenuti insieme dalla protesta e dalla denuncia, qua e là variegati da alcune proposte alternative.

  2. Manca quella cultura dei confini individuali per la quale “il corpo è l’uomo”, dove ciascuno nel suo “tutto” non pretenda di includerci anche tutti gli altri

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