Quando la #Sinistra è nemica di se stessa

Strana sindrome, il masochismo politico. Uno psicodramma quotidiano di cui la sinistra ricopre volentieri il ruolo di attrice principale. Prendete la macchietta tipica del comunista chiacchierone, estremista, intollerante, impreparato e magari anche un po’ sporco. Adesso, gli stereotipi sono come i miti: falsi, ma con un fondo di verità. Perché a dirla tutta la sinistra non si impegna mica tanto a contrastare questo stupido pregiudizio. Anzi, spesso lo incoraggia. È un processo di cui non ci accorgiamo nemmeno, ma che giorno dopo giorno relega il socialismo ai margini del consenso politico.

Da una parte c’è la sinistra freak, caratterizzata da uno spirito identitario così forte da creare automaticamente una barriera tra essa e quell’entità maggioritaria indispensabile per imprimere una trasformazione profonda alla società. I freak di oggi ereditano l’anima contestataria e movimentista, riducendola però ad una rappresentazione grottesca: le manifestazioni ridotte a carnevalate di militanti dall’aspetto trasandato, ostinati a manifestare i segni della propria ideologia più per volontà di distinguersi dalla massa che per convinzione. Per non parlare poi di contestazioni nelle università o nelle librerie degne delle peggiori squadracce.

Dall’altra c’è la sinistra liberal, che è ancora più interessante. Essa ha tutte le potenzialità per rigenerare il pensiero socialista, ma ha il problema opposto rispetto ai freak: la mancanza di identità. Non ha un programma proprio, un’idea ben definita. Non riesce a qualificarsi, vive di opposizione senza mai chiarire bene che cosa voglia proporre in alternativa. Non sta con il governo, ma neanche con i gruppi extraparlamentari. Guarda con estremo interesse a tutte le esperienze vincenti all’estero mandando delegazioni da Tsipras, incontrando Corbyn e Iglesias, sostenendo Sanders. Insomma, cerca in tutti i modi di costruirsi un’identità imitando un modello idealizzato, come fanno gli adolescenti con le stelle del cinema, ma alla fine fallisce sempre. Così anch’essa può solo ambire a prendere abbastanza voti da portare qualche parlamentare a Roma.

Il vero problema è che abbiamo dimenticato a casa il realismo. La sinistra oggi è distante anni luce dagli interessi di quel famoso 99% della popolazione mondiale sottomesso all’élite economica capitalistica. Quali sono le nostre proposte per il lavoro, quale il nostro modello economico? La risposta a questa domanda è molto confusa: salario minimo, sostegno universalistico al reddito… e poi? Mi pare che oggi le uniche cose di cui la sinistra sia capace di parlare con chiarezza siano i diritti lgbt, la legalizzazione della cannabis e altri temi come laicità, immigrazione, pari opportunità. Cose importantissime, per carità. Ma dobbiamo metterci in testa che non si vive solo di questo. Ciò che distingue un socialista o un comunista da un liberale è proprio la sua visione dei rapporti economici.

Voglio che lottiamo perché la democrazia si affermi pienamente anche all’interno dell’impresa. Voglio una riforma del lavoro che garantisca occupazione e garanzie, ma dobbiamo costruire una proposta seria: sostituzione di gran parte dei contratti atipici con uno a tempo indeterminato e tutele progressive (di cui il Jobs Act è solo una brutta copia), forti investimenti pubblici sull’occupazione, creazione di un sostegno universale per i disoccupati. Desidero una sinistra che sappia redistribuire le pensioni e riformarne il sistema, per alleggerire l’enorme spesa che l’Italia sopporta in questo settore e garantire una vecchiaia dignitosa anche alle generazioni future. Chiedo una sinistra che rimetta al centro la questione morale, snellendo e rendendo trasparente la pubblica amministrazione, inasprendo molto i controlli e le pene per politici, burocrati e imprenditori che violano la legge. Pretendo una sinistra che riformi il fisco in senso più progressivo e garantisca servizi pubblici di alta qualità, per elevare le condizioni degli strati più poveri della popolazione. Insomma, pretendo una sinistra che metta paura ai potenti e dia fiducia alla grande maggioranza di sfruttati.

Ma la fiducia si conquista con azioni concrete, competenza, apertura al dialogo, abilità strategica: tutte quelle qualità che hanno fatto grande il Pci e prima ancora il Psi. La sinistra è quella che parla la lingua dei lavoratori per guidarli, non questo coagulo radical chic capace al massimo di organizzare una pastasciutta antifascista. Non abbiamo bisogno di imitare qualcuno per avere un’identità: basta ricordare la nostra stessa storia, per una buona volta. Ed essere capaci di applicarla alle condizioni presenti, che è molto meno difficile di quanto sembri.

20 commenti su “Quando la #Sinistra è nemica di se stessa”

  1. C’è bisogno di rimettere al centro le idee e i valori, le etichette sono oramai strette e non c’è più alcuna corrispondenza tra l’idea di Sinistra e i rispettivi schieramenti. Superare le rigide sovrastrutture dell’imponente impalcatura ideologica novecentesca è d’obbligo per comprendere la realtà che ci circonda. Dire “qualcosa di sinistra” e definirsi tale è oramai superfluo e quanto mai superato, in quanto le persone non hanno più minimamente idea di cosa significhi “sinistra” o “destra”, sono solo parole e come tali lasciano il tempo che trovano. Recuperiamo quei valori e tiriamoli fuori dalle loro vetuste cornici, per far sì che tornino a pervadere il dibattito politico libere da inutili luoghi comuni e modelli di stampo spiccatamente anacronistico.

  2. Sinistra è un termine che è stato svuotato di contenuti, complice anche l’influenza statunitense. Negli USA, infatti, sono considerate di sinistra radicale le posizioni libertarie (dove quindi la stella polare sono le libertà individuali e l’uguaglianza formale tra i cittadini), che però spesso e volentieri non hanno alcuna cura dei diritti sociali: sono libertari come Friedman ad aver creato il neoliberismo.
    L’aver gettato in un solo calderone i libertari e i socialisti/socialdemocratici ha solo confuso le acque. Probabilmente pensionare il termine “sinistra” a favore di socialista/socialdemocratico/laburista ecc. potrebbe aiutare a fare chiarezza, anche se la forza identitaria della parola è ancora troppo forte.

    • L’inglese “libertarian” ha un significato molto diverso dall’italiano “libertario”. Per “libertario” si intende una tendenza che fa riferimento all’anarchismo, quindi agli insegnamenti di Bakunin e Kropotkin che a tutto puntano tranne la valorizzazione del profitto individuale, della proprietà privata e la superiorità di diritti individuali civili su quelli sociali. L’inglese “libertarian” invece indica la corrente degli ultracapitalisti che si definiscono anarco-capitalisti ma che appunto di anarchico non hanno nulla in quanto puntano a sostituire il dominio dello stato con il dominio degli interessi privati, che l’esatto contrario di quanto professato dall’anarchismo.

  3. Magari la sinistra fosse soltanto nemica di se stessa! La sinistra e` nemica dell’umanita`. Non c’e` democrazia all’interno dell’impresa. L’occupazione non e` garantita. Tutele progressive? Che significa? I migliori investimenti sull’occupazione sono quelli che risultano dall’innovazione produttiva. Redistribuire le pensioni? Che significa? La pubblica amministrazione e` la causa della questione morale. Il fisco progressivo ammazza il desiderio di migliorare le cose per se stessi. Lasciate fare ai poveri invece di offrire loro un sussdio governativo ed essi non avranno bisogno di servizi pubblici. Mettere paura ai potenti? Togliere dai “potenti” non migliora la situazione degli sfruttati.

  4. con l’aumentare della crisi la sinistra riprenderà concretezza…..bisogna prima che il capitalismo finisca il suo ciclo storico portando l’umanità ad un punto tale di disgregazione sociale , spreco di risorse e inquinamento che forme di socialismo saranno inevitabili

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