Se rivince #Tsipras

Essere potenti è come essere una signora: se hai bisogno di dimostrarlo vuol dire che non lo sei.

A dirlo era Margaret Thatcher, il cui profilo da lady di ferro è tanto simile a quello di Angela Merkel. Perché colei che ha aperto le frontiere tedesche è anche quella che ha sbattuto le porte in faccia alla prima vera speranza di cambiare il continente, appena qualche settimana prima. L’Unione Europea ha dovuto dare una dimostrazione terribile del suo potere, svelando però tutta la sua debolezza: nessuna solidarietà tra i popoli, sconosciuta la fratellanza tra le nazioni. Su un nugolo di burocrati che agiscono senza la minima legittimazione popolare si staglia la figura tremenda della Germania, che usa le istituzioni comunitarie per accrescere il proprio prestigio internazionale. Il peggio è che nessun altro paese ha osato contrastare questo predominio (comprese Francia e Italia, assestate su una pavida e tardiva posizione a favore del compromesso con la Grecia). Tsipras ha commesso l’errore di non prendere sul serio un piano di uscita dall’eurozona? Forse. Ma poiché anche noti esperti hanno ammesso che con la dracma sarebbero stati necessari aiuti economici per un paio d’anni, forse è plausibile che l’ex premier ellenico abbia preferito l’umiliazione al massacro, tanto più se è vero che Usa, Russia e Cina hanno negato un ipotetico sostegno in caso di Grexit. Adesso si ritrova a fronteggiare una difficilissima e imprevedibile campagna elettorale, che potrebbe affossare Syriza o permetterle di continuare a governare. Tertium non datur.

Ma su un punto Tsipras ha ragione. Nella notte in cui è stato sancito il terzo memorandum, l’Europa si è denudata. Dunque, ecco il vero colpo fatale al progetto europeo: l’Ue, anziché casa comune della democrazia e della pace, è diventata la reggia del capitale. Il pugno dell’austerity è stato solo il casus belli, perché – diciamolo chiaramente – alcuni campanelli d’allarme si avvertivano già prima. Prendiamo il fallimento del disegno di una costituzione europea, bocciata da due referendum in Francia e in Olanda: un documento impregnato di neoliberismo, mascherato dalle dichiarazioni esplicite a favore di una “economia sociale di mercato” che mette d’accordo socialdemocratici e conservatori. E infatti è accaduto proprio questo, con socialisti e popolari europei ormai indistinguibili. Ma dopo la pace cartaginese imposta al popolo greco, ormai il castello di carte è caduto.

Dobbiamo abbattere tutto e ricostruire sulle macerie? Potrebbe non essere necessario. Il tentativo della sinistra radicale di trasformare l’Europa dall’interno non si è esaurito con la vittoria (di Pirro?) della Merkel. Diciamo pure che la Grecia si è ritrovata a lottare sola contro tutti, dagli altri stati membri alle istituzioni della Troika. Ma eccola qui, la nostra speranza. Possiamo progettare un’altra Europa, se a partecipare alla sua realizzazione si è in tanti. Le elezioni sono alle porte in Spagna, Portogallo e Irlanda. Tra questo e il prossimo anno potremmo festeggiare rispettivamente i successi elettorali di Podemos, Coalizione Democratica Unitaria e Sinn Fein. Anche in Italia, seppur formalmente se ne parli per il 2018, la sinistra cerca di darsi finalmente un’identità.

Se questa congiuntura si realizzasse, i rapporti di forza potrebbero clamorosamente cambiare. I Piigs, tanto derisi e considerati come zavorra a cui affidare “compiti per casa”, possono diventare i protagonisti della rivoluzione convocando una conferenza per stilare un nuovo disegno europeo. Un’alleanza contro l’austerità (chiamiamolo Patto di Atene, la città simbolo della prima rivolta allo status quo) che preveda un vincolo di cooperazione e solidarietà tra gli stati aderenti, a partire da una dichiarazione degli ideali che dovranno ispirare l’azione comune: giustizia sociale, eguaglianza, massima espansione della democrazia in tutti i settori della società. A livello pratico, il patto dovrebbe prevedere la proposta di trasferire gran parte dei poteri detenuti da istituzioni non elettive per via diretta (Commissione europea, Consiglio europeo e Consiglio Ue) al Parlamento, al cui controllo sottoporre eventualmente anche l’operato della Bce. Inoltre sarebbe necessario attuare una strategia collettiva di pressione per costringere Bruxelles ad invertire il proprio orientamento economico.

Basta con le minacce morbide e la moderazione indolente, i potenti del continente vanno sfidati a viso aperto. E se la vicenda Tsipras ci insegna qualcosa, anche l’uscita dall’euro può potenzialmente diventare un punto a loro favore. Perciò è bene che il patto per una nuova Europa preveda anche un piano di riserva in caso di ritorno alle monete nazionali da parte di uno o più stati che sottoscrivono l’accordo. Ad esempio le parti potrebbero impegnarsi a sostenere economicamente l’eventuale paese uscente, consentendo così ad esso maggiore forza contrattuale nei negoziati con i vertici Ue: in sintesi, l’uscita dall’euro così spaventerebbe meno i deboli e più i forti. Il Patto di Atene sarebbe forse l’ultima speranza di vedere l’Europa unita nel nome dell’equità e della fratellanza, emancipata dagli Usa e impegnata nelle battaglie per la giustizia globale nel terzo millennio. In poche parole, ne abbiamo bisogno per dare concretezza alle parole con cui qualche anno fa è stato assegnato il Nobel per la Pace all’Unione Europea:

Per aver contribuito per oltre sei decenni all’avanzamento della pace e della riconciliazione, della democrazia e dei diritti umani in Europa.

6 commenti su “Se rivince #Tsipras”

  1. Cattiveria: ma non era il referendum l’occasione per ribadire il rifiuto popolare per l’austerità?
    Tsipras poteva fare qualcosa a condizione che qualcuno gli regalasse miliardi a profusione per un qualche tipo di ritorno geopolitico. Nessuno a quanto pare fu interessato e la Grecia ha capito di non potersi condonare i debiti senza il consenso dei creditori. Ora cosa sarebbe cambiato?

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