#1Maggio. Morte di un commesso viaggiatore

Questo è un racconto degno della penna di Arthur Miller. Narra le mie vicende, Luca (nome di fantasia), un commesso che, 10 anni fa, ricevette la chiamata da Mediaworld, un’importante multinazionale del commercio. Era un’azienda in grande espansione con decine di negozi nei centri commerciali. Quest’ultimi sono diventati le agorà del nuovo millennio, io li vedevo come cattedrali nel deserto con fitti corridoi illuminati a giorno, popolati spesso da clienti e personale senza volti felici e distesi.

Decido, però, di mettermi in gioco con la possibilità di inserirmi in un ramo in continuo sviluppo. Il colloquio è entusiasmante, la direzione del personale dipinge il quadro di una compagnia che, nonostante le migliaia di lavoratori, è soprattutto una grande famiglia. Il lavoro inizia, i colleghi sono disponibilissimi ed il fatturato è in costante crescita, come i ritmi. Ma a fine turno nonostante la fatica mi sento appagato: ho una stabilità economica che mi permette di guardare ad un futuro radioso per me e quella collega che sto iniziando a frequentare.

Passano i mesi e quella frequentazione regala alla nostra coppia l’attesa di due gemelli, grande è la nostra gioia perché l’azienda premia questa nuova vita con un sostanzioso pacco di beni e dà la possibilità alla neo mamma di modulare gli orari per i primi tre anni. La domenica in famiglia risulta complicata da passare insieme, ma perlomeno viene retribuita con una maggiorazione più alta che quella del contratto collettivo nazionale. Un giorno, però, la notizia della crisi finanziaria globale eccheggia da quella parete di televisioni ultradefinite esposte in negozio ed io inizio a pensare: “come ne usciremo?”.

I titoli di giornale raccontano ciclicamente, a giorni alterni, un mondo che rischiava il collasso o una crisi che era stata sopravvalutata e da quel momento si risveglia in me una visione critica e la voglia di lottare. La notizia è che l’azienda vuole mutare alcuni aspetti lavorativi: nel giro di pochi mesi, infatti, il calo di fatturato e la liberalizzazione degli orari e giorni di apertura non hanno portato a nessuna assunzione in più (motivo principale della legge contenuta nel pacchetto Salva Italia voluta dal governo Monti), anzi hanno prodotto il lievitare del capitolo costi di gestione nei conti economici.

L’azienda inizia ad essere vista come l’occhio del grande fratello di Orwell; sempre più richieste imperative e categoriche: vengono bloccati gli straordinari, fissati premi produttività totalmente irraggiungibili, tagliata la figura del caporeparto, bloccati gli scatti di livello (anche per chi li attendeva da anni), stagisti sfruttati con mansioni di 4° livello, vengono rinnovati meno apprendisti possibili (molto probabilmente sotto la soglia del CCNL), annullate la possibilità di modulare gli orari alle neo mamme, trasferimenti forzati a centinaia di km dalla propria casa e vengono imposte pause anche negli orari corti, fino ad arrivare all’orario spezzato.

Io e la mia compagna la mattina ci alziamo e dirigiamo al lavoro sentendoci solamente un numero e non più i componenti di una famiglia. Circondati da tante maglie rosse con ognuna una cifra differente, comprendiamo che quel rapporto schietto e senza filtri con i nostri responsabili è un miraggio.

La famiglia ne risente, si assottiglia sempre di più il tempo da passare insieme, la domenica ed i festivi passati nei parchi o in gita sono ormai un miraggio ed anche l’andare al lavoro spensierato è solo un lontano ricordo. Nel negozio ormai da tempo si vive un’atmosfera grigia, figlia di continue richieste da parte delle regie dei punti vendita e di un comandante della nave che ha decisamente perso il comando e naviga in piena burrasca; ma non sarà sicuramente il buttare a mare una parte del “carico” (chiusura di 7 punti vendita e taglio del 10% dell’organico nazionale) che lo condurrà in acque di bonaccia.

Purtroppo, infatti, il 24 Aprile (proprio alla vigilia della festa della Liberazione) io e la mia compagna riceviamo, in una riunione, la notizia della chiusura del nostro punto vendita entro 2 mesi; fino a 5 minuti prima eravamo impegnati a confrontarci sull’ennesimo volantino, su una problematica di un cliente e le ferie che si stavano avvicinando ma ora ci sentiamo cadere il mondo addosso. Le facce dei colleghi durante questa riunione, sono un misto di rabbia, incredulità, sdegno, frustazione. Perché noi non ci possiamo rinfacciare nulla, abbiamo sempre dato il 100% e dopo aver mandato giù tutti questi tagli e bocconi amari non ci aspettavamo questa pugnalata alle spalle. Ci viene chiesto, durante la riunione, di chiudere il negozio con dignità, di rimanere a lavorare nei giorni seguenti per dare una mano a svuotare quel negozio che per anni ho passato a riempire per accontentare tutta la clientela. Nei giorni seguenti riceviamo anche il raddoppio della vigilanza che ora ci “pedina” in negozio come se fossimo dei ladri: è un colpo basso alla nostra integrità morale. Non voglio neanche pensare che l’azienda stia procedendo con questa soluzione per liberarsi, di me, della mia compagna e tanti altri che hanno dei contratti Full Time che costano il doppio di quanto costerebbe, oggi, assumere un giovane con i sgravi fiscali, ma tant’è, com’è il detto? A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca.

Dopo aver dato anima, sangue e sudore per questa società, ora la paura del commesso viaggiatore è ritrovarsi a 40 anni ad essere un peso per i genitori, che vivono con la pensione minima, di dover passare fin troppo tempo a casa con il figlio e dovergli tentare di spiegare, trattenendo le lacrime, il significato delle parole solidarietà, austerità, povertà, che in comune hanno solamente un malinconico presente ed un triste futuro. Come nel racconto di Arthur Miller, il commesso, ha solo il sogno di non finire come il protagonista; dimenticato da tutti, messo in disparte e lasciato a suicidarsi per la paura di non finire schiacciato dalla responsabilità di una famiglia che non riesce più a mantenere.

Luca

2 commenti su “#1Maggio. Morte di un commesso viaggiatore”

  1. Purtroppo questa è l’Italia a cui siamo arrivati. Già vivere per lavorare 40 ore con lo spezzato era brutto, adesso nemmeno più quello perchè vanno avanti con gli stagisti.
    La flessibilità del lavoratore non gli basterà mai, meno male che qualcuno comincia ad accorgersi che quanto fatto fin ora a danno dei diritti dei lavoratori passati e futuri è insostenibile.
    Ma c’è ancora troppo benessere perchè si cambino realmente le cose…c’è troppo amore per il lusso, c’è troppa destra anche negli sfruttati…

    • Che dire ieri era toccato a me.. oggi a te…. rimboccati le maniche e rimettiti in gioco, io l’ho fatto a 38 anni e poi a 42 anni…. sono ancora quì e non sono morto di fame, anzi sto avendo una bellissima opportunità lavorativa…. P.S. da quello che capisco sei un commerciale, non avrai problemi a rimetterti in gioco, occhio alle proposte con apertura di P.Iva….

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