L’ISIS si chiama nazismo

È impossibile restare impassibili di fronte alle tremende immagini che ci giungono dai territori controllati dallo Stato Islamico, l’ISIS. Persone arse vive. Persone sgozzate. Persone scaraventate giù da edifici. Persone crocifisse.

Dico persone perché non voglio stare lì a specificare ogni volta le categorie maggiormente colpite dai fondamentalisti guidati Al-Baghdadi, ossia donne, cristiani, omosessuali, atei, popolazioni autoctone le aree da loro colpite. Forse, nelle specificazioni che ogni volta compiamo, molti di noi tendono a dimenticare questa o quella categoria senza però concentrarsi sul fatto implicito che nel momento in cui anche solo un essere umano viene sacrificato sull’altare del fanatismo per l’appartenenza a un determinato gruppo sociale, l’umanità intera sta perdendo una persona, al di là delle caratteristiche che la identificano.

L’ISIS non sta quindi attaccando in maniera esclusiva un gruppo specifico di individui, ma sta abbracciando così tanti gruppi e formazioni sociali che si deve, obbligatoriamente, parlare di attacco all’ essere umano, alla persona e quindi all’umanità.

Se le immagini che – purtroppo – vengono diffuse dallo Stato Islamico e poi propagate dai media occidentali – e possano tutti i media del nostro mondo seguire l’esempio di Monica Maggioni e della redazione di Rai News 24! – di morti atroci e così sfacciatamente scenografiche mi turbano e mi spaventano anche se in modo “attutito” dal semplice fatto che per anni la televisione ci ha abituati a sentire di morti, a vedere morti, il colpo vero mi è stato inferto dalle riprese che mostrano la distruzioni da parte dei miliziani dell’ISIS del patrimonio culturale sumero.

Musiche sapienti, riprese degne di un vero regista del terrore e, frattanto, millenarie statue di Istar e Marduk venivano fatte a pezzi con una violenza inaudita. Vedere questo non mi ha soltanto spaventato perché immaginavo un simile trattamento al David michelangiolesco o ai bronzi di Riace, ma mi ha soprattutto disgustato. E il disgusto è molto peggio della paura: la paura si palesa spesso, viene sfogata ma domata. Il disgusto è sottile e si insinua in tutti noi e va a colpire anche persone che questo disgusto non lo meritano.

Subito, da lì, mi sono venute in mente le immagini tremende dei grandi roghi di libri della Germania nazista, poi i suoi strumenti di propaganda intimidatoria, pomposa e violenta, le persecuzioni, i campi di concentramento.

L’ISIS non ha campi di concentramento, no. Ma, rincara giustamente la dose Vittorio Sgarbi, «neanche Hitler si è spinto» a distruggere indifese statue millenarie che testimoniavano la presenza di un passato in quelle terre, culla della civiltà umana. L’ISIS non si sviluppa neanche nella stessa società di massa che portò alla nascita del nazismo. Esso nasce da una crisi dei regimi democratici costruiti dalle forze occidentali per sostituirsi a dei dittatori che, volenti o nolenti, mantenevano uno status quo negli stati che governavano. Come la fragile Repubblica di Weimar, anche l’Iraq e la Libia sono democraticamente instabili e, in precedenza, retti da un governo autoritario. La parentesi democratica viene rotta in modo irruento da un rigurgito forte e militarmente ben fornito, ideologicamente saldissimo nel proclamare la totale applicazione della legge islamica sul regno terreno dell’uomo.

Cancellare il passato era il mezzo di Hitler per fondare una società nuova e un uomo nuovo, così come per l’ISIS

Vaporizzare il rivale era lo strumento politico di Hitler per ottenere il totale controllo della nuova razza umana, così come per l’ISIS

Trovare uno spazio vitale in cui far sviluppare l’uomo nuovo era nei programmi del nazismo, così come per l’ISIS

Vendicarsi di un torto subito fu la spinta decisiva che diede a Hitler la forza di lanciare la sua ideologia perversa, così come per l’ISIS

Le somiglianze intrinseche fra nazismo e ISIS sono quanto più definite delle differenze. Se il primo si configura davvero come un totalitarismo, il secondo ha l’ambizione di totalizzare al più presto il mondo intero, di vendicarsi della civiltà europea conquistando Vienna, di eliminare l’infedele e formare un uomo islamico puro, lontano da tutto lo spettro del vivere civile occidentale.

La weltanschauung dell’ISIS è nera come le bandiere che sventolano nelle loro processioni di miliziani armati fino ai denti per distruggere chiunque, uomo o donna che sia, osi opporsi all’autorità dell’Allah che loro incarnano e di cui sono gli esclusivi portavoce.

A favore dell’ISIS non c’è apologetica che tenga, né teoria del complotto che possa assolverli o scaricarne anche parte della barbarie sulle spalle di qualche influenzatore esterno.

Contro l’ISIS, come contro il nazifascismo, vi deve essere una concertazione internazionale che veda in prima fila in particolar modo i paesi arabi che hanno da sempre manifestato la voglia di dimostrare all’Occidente di essere lontani dalla inciviltà che agisca in modo rapido, tempestivo, deciso. Contro l’ISIS, come contro il nazifascismo, non c’è diritto umano che tenga. Non se, ma quando verranno sconfitti, spero nella costituzione di un tribunale penale internazionale che li giudichi per crimini contro l’umanità perché di questo si trattano, di criminali che hanno saputo sapientemente sfruttare il nome di Allah per la realizzazione del loro spietato disegno di dominio del mondo. Perché sì, l’ISIS si chiama nazismo, l’ISIS è nazismo, e come tale va giudicato.

E che quello stesso Allah, un giorno, spero vicino, li perdoni.