San #Gheddafi, ma anche no

«L’Islam dovrebbe diventare la religione di tutta l’Europa». Così diceva Muammar Gheddafi, appena sbarcato in Italia il 30 agosto 2010 per la “giornata dell’amicizia italo-libica“. Accolto come eroe nazionale, il dittatore libico impartì lezioni di Corano a 500 hostess, retribuite 70 euro ciascuna, dileggiò e umiliò ripetutamente le istituzioni italiane e venne omaggiato da baciamani e festeggiamenti che nemmeno per un capo di Stato del calibro di Obama.

Il “caro amico” Gheddafi, però, fu subito scaricato quando scoppiò la c.d. “Primavera Araba” (che primavera non fu mai, nemmeno agli inizi) e il famoso trattato di cooperazione e amicizia fu “sospeso” dall’Italia, che si schierò con la Nato a favore dei ribelli, che poi giustiziarono in maniera sommaria l’ex-dittatore caduto in disgrazia (recenti ipotesi hanno visto la longa manus dei servizi di intelligence occidentali). Per quattro anni ci sono stati raccontati tutti i crimini, le atrocità, gli omicidi e le esecuzioni portate avanti dal dittatore (qui una delle tante testimonianze). Per quattro anni la destra italiana che aveva sdoganato un feroce dittatore e assassino ha fatto finta di non averlo mai conosciuto.

Fino ad oggi, con le truppe dello Stato Islamico (IS) arrivate fino in Libia, a un passo dall’Italia: subito sono stati intonati gli elogi nostalgici per il dittatore libico, che teneva a bada i tagliatori di gole. Cosa assai curiosa: se il tagliatore di gole islamico è amico nostro, allora va bene e gli costruiamo anche un’autostrada (la Salerno-Reggio Calabria in effetti ce la invidiano in tutto il mondo), se invece è nostro nemico, allora no. Del resto, il rispetto dei diritti umani e dei “valori occidentali” per certa parte della politica internazionale è come un pene: si allunga e si ritira a seconda delle necessità.

Il fatto che gli assassini e i fondamentalisti siano molti di più oggi, a causa semplicemente di una politica internazionale miope e tutta rivolta alla tutela di certi interessi politici ed economici, non giustifica alcuna rivalutazione di feroci dittatori che hanno calpestato le vite e i diritti di centinaia di migliaia di persone. E Lor Signori ci facciano un favore: evitino di elogiare una delle pagine più disonorevoli e tristi della nostra storia recente, quella della grande amicizia tra l’Italia di Berlusconi e la Libia di Gheddafi. Due cose di cui ci siamo liberati, a fatica. Anche se sulla prima, visto l’andazzo, non sono tanto sicuro.

2 commenti su “San #Gheddafi, ma anche no”

  1. “Quando gli assassini sono amici nostri vanno bene?”

    Sì.

    Quando c’era Gheddafi c’era la pace in nord africa.
    Era un nostro partner commerciale.
    Ora tutta l’africa è un casino, l’ISIS ci minaccia direttamente e Inglesi e Francesi ci hanno rubato tutto il petrolio Libico.

    Quando un assassino lavora per te, è una risorsa.

    • Perdona, ma dovresti un attimino leggerti qualcosina a proposito della “pace in Nord Africa” sotto Gheddafi: dire una cosa del genere significa non avere proprio la cognizione della realtà.

      Quanto ai francesi e inglesi che ci hanno rubato tutto il petrolio, è una balla anche quella: il gasdotto Greenstream è ancora in mano nostra, tant’è che vogliamo intervenire militarmente proprio per difenderlo. L’IS ci minacciava da prima che arrivasse in Libia e l’Africa è un casino da sempre (merito della politica internazionale degli ultimi 40 anni).

      Gheddafi non ha mai lavorato per noi: eravamo noi che, per tutelare alcuni interessi economici, non di certo quelli dell’Italia, gli abbiamo fatto da zerbino, finché non lo abbiamo tradito per non perdere definitivamente la faccia a livello internazionale.

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