La #Finanza totalitaria

Dobbiamo dirlo: è un piacere vedere finalmente un governo come quello di Tsipras. Giovane e preparato, anticonvenzionale senza essere radical chic, serio. La ribellione intelligente della Grecia (che ci auguriamo venga appoggiata anche da Francia e Italia) è un segnale forte e chiaro della politica di fronte ad un fenomeno di portata mondiale: l’invasione totalitaria della finanza. Dagli anni Ottanta ad oggi la perdita di peso specifico da parte degli Stati ha spianato la strada a quel perverso “finanzcapitalismo” di cui parla Luciano Gallino. La finanza in un’economia di mercato ha una grande importanza e nessuno lo mette in dubbio. Ma intanto non commettiamo l’errore di identificare il mercato con il sistema capitalistico, come se l’unica alternativa fosse la pianificazione sul modello sovietico. Il problema non consiste nel mercato, che nonostante tutti i propri difetti di fondo ha avuto il merito di scardinare i rapporti di rigida gerarchia propri dell’epoca feudale, ma nei valori su cui esso si basa. Per fare un esempio, può essere fondato sull’individualismo e sulla speculazione, oppure sul mutualismo e sulla reciprocità.

Naturalmente è fuori discussione una concezione provvidenziale simile a quella che hanno i liberisti: i loro dogmi sono stati più volte smentiti e i risultati delle loro politiche scellerate sono attorno a noi ogni giorno. Lo Stato infatti deve supportare e regolamentare con autorità i mercati. Questo presuppone due premesse. In primis, questo compito è divenuto molto più difficile al tempo della globalizzazione. Inoltre non è possibile raggiungere questo risultato senza lottare contro i potenti gruppi di pressione costituiti dalle élite finanziarie. La via d’uscita è solo una, ossia quella di avere fiducia nelle istituzioni e supportarle. L’impegno deve provenire dall’alto, tramite l’azione politica, e dal basso, con l’iniziativa privata del consumatore e dell’imprenditore: prediligere la responsabilità sociale al profitto, ecco cosa ci serve.

Ma come risolvere il problema dello strapotere finanziario? La chiave risiede in un forte impulso riformatore che abbatta intollerabili privilegi e la speculazione, malattie endemiche del sistema capitalistico. A proposito: la riforma delle banche popolari proposta da Renzi va in direzione completamente opposta al principio di “umanizzazione” della finanza. L’abolizione del voto capitario incoraggia la trasformazione in società per azioni, alimentando un mercato borsistico già nevrotico. Ricordiamo, qualora il premier lo abbia dimenticato, che il risparmio, soprattutto quello popolare, è tutelato e incoraggiato dalla Costituzione. Ma davvero sorprendente è la soppressione di un vero principio democratico, che dovrebbe essere posto alla base di ogni organizzazione aziendale, il principio “una testa, un voto”.

Un discorso a parte è quello che tratta proprio del mercato azionario. Esso si basa su una serie di assunti non condivisibili alla base, come il diritto dell’azionista ai dividendi. L’azionista acquista i titoli e ottiene somme ancora maggiori di quelle investite, senza prendere minimamente parte ai processi produttivi. Così, egli è proprietario di una quota dell’impresa e ciò dovrebbe giustificare il suo tornaconto. Ben peggiore è l’onnipresenza di fenomeni speculativi che rendono i valori di listino avulsi dalla realtà. La borsa premia la massimizzazione del profitto, finalità spiccatamente capitalistica e incompatibile con l’esigenza di orientare l’impresa verso quello che dovrebbe essere il suo vero scopo, ossia produrre il massimo valore sociale possibile. Che non coincide con il profitto. I manager, che teoricamente dovrebbero temere la caduta del prezzo delle azioni, in realtà non se ne preoccupano molto: anche se dovessero essere sostituiti, verrebbero dotati di sostanziose buonuscite, i golden parachute (“paracadute d’oro”: il nome è già tutto un programma). Un sistema del genere è insostenibile.

La via d’uscita è combattere la grande finanza proprio sul suo terreno preferito, quello della borsa. Le armi? L’acquisizione di quote azionarie sempre maggiori da parte di enti con finalità non speculative (Stato, fondi pensione gestiti dai sindacati ecc.) che si incarichino di redistribuire tra i lavoratori i profitti percepiti. Si istituisca una volta per tutte la tassa sulle transazioni finanziarie e in generale si aumenti il carico fiscale sui ceti più ricchi, per finanziare un grande piano di prestiti statali a basso tasso di interesse a favore delle società non azionarie. Proteggiamo il microcredito, il finanziamento collettivo, i social impact bond e proprio il credito popolare e cooperativo.

Magari domani il mercato potrà fare a meno della borsa. Ci vorrà molto tempo e una pazienza infinita, dovremo incassare colpi tremendi e qualche volta anche indietreggiare. Ma abbiamo tutto il tempo che vogliamo, a differenza del febbrile universo finanziario. E questo ci premierà.