#Pasolini e le 120 giornate di Sodoma

La fama di un autore come Pasolini è indubbiamente legata, come sottolinea anche la maggior parte della critica, alle rappresentazioni che egli fa del corpo umano, nei suoi aspetti più istintuali e “carnali”. Tuttavia, dietro all’utilizzo di immagini ed espressioni esplicitamente sessuali e scioccanti, vi sta un significato profondamente politico che vorrei tentare di spiegare in questo articolo.

Nel 1975, Pierpaolo Pasolini gira Salò o le 120 giornate di Sodoma, quello che può essere considerato come il film più scioccante, e a tratti insostenibile, della sua carriera. La pellicola si ispira all’omonimo romanzo (Le 120 giornate di Sodoma) che il Marchese de Sade scrisse nella prigione della Bastiglia nel 1785 e che lasciò incompiuto. Pasolini rilegge l’opera del Marchese, applicandola alla realtà contemporanea e più specificatamente al periodo tra il 1944 e il 1945 durante la seconda guerra mondiale. Il Morandini, il più noto manuale di critica cinematografica, riporta con tali parole la trama del film: “Durante la Repubblica di Salò 4 signori (il Duca/Bonacelli, il Monsignore/Cataldi, S.E. il presidente della Corte d’Appello/Quintavalle, il presidente Durcet/Valletti) si riuniscono insieme a 4 Megere, ex meretrici, e a una schiera di ragazzi e ragazze, partigiani o figli di partigiani in una villa isolata e protetta dai soldati repubblichini e dalle SS. Per 120 giorni sarà in vigore un regolamento che permette ai Signori di disporre a piacere delle loro vittime. Lo schema temporale corrisponde a 4 gironi: l’Antinferno, il girone delle Manie, il girone della Merda, il girone del Sangue”.

Durante tali giornate, i signori infliggono ai giovani prigionieri partigiani ogni tipo di tortura, dal mangiare le feci a rapporti sessuali continui, e, a essere sinceri, la visione di tali scene diventa talvolta insostenibile. Oltre a Sade, vi sono nel film dei richiami anche all’Inferno di Dante e al Giardino dei supplizi (1898) di Mirbeau, non solo in relazione alla scena in cui i carcerieri lanciano brandelli di carne marcia alle giovani ragazze e ai giovani ragazzi che, nudi, sono immobilizzati dalle catene, ma anche in relazione alla rappresentazione decadente dei corpi, delle forme e dei riti orgiastici. La pellicola declina l’immaginario della reclusione e quello della tortura in tutti i modi possibili. Lo stesso incipit del film con i quattro signori rappresentanti di un potere specifico, precisamente il Duca per quello nobiliare-politico, il Monsignore per quello ecclesiastico, il Presidente della Corte d’Appello per quello giudiziario e il Presidente Durcet per quello economico, si configura come un altro omaggio di Pasolini a Mirbeau che nella dedica provocatoria del Giardino dei supplizi aveva citato i preti, i soldati e i giudici quali detentori di un’autorità oppressiva e distruttiva.

Ma qual è il vero significato del film di Pasolini? Possiamo davvero ridurlo a un tentativo di scioccare lo spettatore? Ovviamente c’è una visione politica e filosofica più profonda. Il film rappresenta il rapporto del potere con le persone che gli sono sottoposte, un rapporto metaforicamente sadico incentrato sulla reclusione. Per Pasolini nella società capitalistica e borghese, che il fascismo ha promosso, si assiste a quello che Marx chiama la mercificazione dell’uomo, la riduzione del corpo a oggetto attraverso lo sfruttamento. Nel film, il regista sembra dirci che tutto ciò che avviene nella villa (torture, atrocità, perversioni) è conseguenza del tentativo di imprigionare il corpo altrui e di dominarlo. Anche il sesso, descritto nelle sue forme più violente e perverse, viene proposto come strumento di prigionia e sopraffazione oltre che di mercificazione dell’altro. Il sadomasochismo diventa allora un mezzo per attuare il potere, un’arma attraverso cui le dittature controllano il popolo e attraverso cui la borghesia cerca di neutralizzarlo per incatenarlo e irregimentarlo in determinate norme e leggi il cui fine è il mantenimento dell’egemonia da parte di poche istituzioni privilegiate.

Nella pellicola, cioè, Pasolini ci mostra attraverso i corpi che vengono ripetutamente violentati e torturati dai rappresentati dei poteri borghesi, la violenza che il fascismo e il capitalismo producono sulla società, una violenza che si traduce nella sottomissione e nel completo annientamento delle classi popolari e operaie, qui rappresentate dai giovani partigiani abusati e imprigionati.