Il Generale #dallaChiesa non fu mai iscritto alla #P2

di Stefania Maglio

Sono passati 32 anni dalla strage di Via Carini, da quel 3 settembre ’82 quando il prefetto di Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa veniva ucciso da un commando di Cosa Nostra insieme alla moglie Emanuela Setti Carraro e all’agente di scorta Domenico Russo. E sono passati 32 anni anche dall’affissione di quel memorabile cartello, “Qui è morta la speranza dei Palermitani onesti”, l’indomani della strage, sempre in Via Carini. Onesti erano quei palermitani, come onesto è sempre stato il prefetto.

Eppure, puntualmente, ad ogni anniversario, la dedizione allo Stato e il rispetto per la divisa che portava vengono messi in discussione. Se da una parte c’è chi ricorda lo spirito di sacrificio che portò il generale dalla Chiesa a mettersi in prima fila contro Cosa Nostra, dall’altra c’è chi ritira fuori, puntualmente, la sua presunta affiliazione alla P2. E poiché non sono pochi a parlare di questa fantomatica tessera, soprattutto sui social networks, è giunto il momento di fare chiarezza al riguardo una volta per tutte.

Ma prima è opportuno chiarire che cosa realmente sia stata la P2, ad uso e consumo dei più giovani.

La Propaganda 2 è stata una loggia massonica segreta capeggiata da Licio Gelli la cui esistenza venne scoperta da Giuliano Turone e da Gherardo Colombo il 17 marzo 1981, grazie al ritrovamento di una lista di quasi mille aderenti alla loggia, durante una perquisizione della villa di Gelli ad Arezzo nell’ambito dell’inchiesta sul finto rapimento di Michele Sindona. Tra questi spuntavano ministri, parlamentari, imprenditori, finanzieri, magistrati, questori, giornalisti e molti altri. Gelli traeva vantaggio dai rapporti che manteneva con i suoi contatti, che talvolta potevano essere utilizzati come mezzo per minacce e ricatti. La Commissione parlamentare d’Inchiesta, presieduta da Tina Anselmi, giudicò la P2 una vera e propria organizzazione criminale che mirava ad “assumere segretamente il controllo della vita pubblica italiana, svuotandone la democrazia” (Palazzo/Bergese).

Ma veniamo ora al caso del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa: si è sempre discusso molto della sua adesione o meno alla loggia, nonostante oggi (e anche allora, dopo le perquisizioni) sia ben noto che non è mai stata trovata una tessera della P2 appartenente al prefetto di Palermo.

Nel libro “Delitto Imperfetto”, il figlio Nando a tal proposito ha scritto: “Verso la metà degli anni Settanta, in una condizione di relativo isolamento (si ricordino le ostilità che incontrava allora in larghissimi settori dell’opinione pubblica progressista), mio padre fu ripetutamente contattato e richiesto dai suoi superiori di entrare nella loggia segreta di Gelli, tramite la quale avrebbe ottenuto solidarietà e sostegno”.

Sono proprio solidarietà e sostegno che avrebbero (si suppone) spinto il generale a far domanda per l’annessione alla loggia. Eppure, il nome del generale nell’elenco degli iscritti non venne trovato. Questo più semplicemente perché il generale non vi aderì mai. Scrive ancora il professore “una più attenta valutazione del temperamento di  mio padre e del suo atteggiamento verso le istituzioni aveva portato a concludere che la sua presenza fosse, per la famosa loggia, «controindicata»

Ma non bastò la rivelazione degli elenchi degli iscritti a scagionare Carlo Alberto dalla Chiesa: quando venne alla luce la sua domanda (che, ricordiamolo, non venne mai accolta), vide compromesso il suo ruolo all’interno dell’Arma dei carabinieri, i quali videro l’infondato episodio della P2 come un pretesto per espellerlo. Se nella battaglia contro la mafia lo avevano lasciato solo, in questa particolare circostanza intervennero i ministri Rognoni e Lagorio, con l’appoggio del generale Rambaldi, che archiviarono il caso e decisero per la fiducia del governo.

Ingiustificate, quindi, le perplessità di chi ancora oggi sostiene il coinvolgimento del generale con la P2, accusata del depistaggio delle indagini su molte delle stragi che hanno insanguinato l’Italia in quegli anni.

È inoltre fuori discussione che la figura di un uomo corretto, risoluto e tenace come il prefetto di Palermo risulti essere compatibile con quella di un’associazione criminale come la P2. E questa è una soluzione alla quale si può giungere anche senza nessuna prova.