#Her: l’amore ai tempi dell’intelligenza artificiale

Tutti più o meno riusciamo a riconoscere un Homo sapiens quando lo vediamo, ma probabilmente nessuno di noi saprebbe definire con certezza il concetto di “persona”. Cerchiamo una risposta soddisfacente ormai da secoli e i dubbi ci assalgono anche senza che ci facciamo troppo caso: per esempio quando proviamo pena per la morte o la malattia di un animale (specialmente di un altro primate) o quando affrontiamo i dibattiti sul fine vita e l’aborto. Nel futuro le cose potrebbero addirittura complicarsi e a dire il vero nell’immaginario fantascientifico si sono complicate già da qualche decennio: cosa renderà un’intelligenza artificiale una persona? Come ci dovremo comportare con lei/lui?

In un futuro non troppo lontano e in un’ambientazione che forse fa venire in mente uno spot della Apple, Theodore Twombly (Joaquin Phoenix), scrittore di lettere d’amore su commissione, appena uscito dalla relazione con la moglie Catherine (Rooney Mara), prova l’ultima novità nel mondo dei sistemi operativi, l’OS1. Il quale, una volta installato, sceglierà di chiamarsi Samantha (Scarlett Johansson). Si tratta però di molto più di una segretaria virtuale che organizza mail e appuntamenti: Samantha infatti sviluppa rapidamente una propria coscienza, andando probabilmente ben oltre gli intenti dei programmatori. Theodore e Samantha iniziano una relazione e, col passare del tempo, scopriranno di non essere gli unici, in ogni senso.

Con questo film Spike Jonze ha vinto il premio Oscar per la migliore sceneggiatura originale, anche se ha diviso la critica a causa di un soggetto forse troppo vicino ai cliché delle commedie romantiche. Ha messo quasi tutti d’accordo, invece, la prova di Joaquin Phoenix che in buona parte del film dialoga con Samantha senza averne davanti il corpo e quindi senza potervi interagire fisicamente, riuscendo comunque a riempire la scena. La voce senza corpo del sistema operativo fa ovviamente pensare all’attrice in carne e ossa guadagnandone in sensualità. Il film rischia di perdere molto nel doppiaggio italiano: non ce ne voglia Micaela Ramazzotti, la Samantha della versione italiana, ma l’interpretazione esclusivamente sonora di Scarlett Johansson merita davvero lo sforzo di vedere il film in lingua originale.

Bret Easton Ellis, intervistato anche nel documentario su “Her” girato da Lance Bangs, ha lanciato la sua personale critica su Twitter:

I primi 45 minuti di “Her” di Spike Jonze sono il miglior film dell’anno. Gli altri 75 minuti no.

Eppure anche laddove non convince il film ha il pregio di segnare il passo, si spera, di una fantascienza made in USA un po’ più originale. Se “Gravity” ci ha dato quasi per la prima volta uno spazio che impaurisce per il solo fatto di essere lo spazio, senza cioè doversi appoggiare al non siamo soli per suscitare inquietudine (anzi è proprio l’essere soli il dramma), “Her” scavalca lo schema tipico della fobia per i computer mettendo l’intelligenza artificiale all’interno del contesto umano più riconoscibile in assoluto (almeno al cinema), ovvero la più classica delle storie d’amore. Così come Asimov aveva elaborato le leggi della robotica per disfarsi dell’abusata distopia dell’uomo schiavizzato dalle macchine, anche Spike Jonze, nelle dovute proporzioni, ci invita a riflettere sulla nostra natura di “persone” e su ciò che a partire da questo concetto riteniamo socialmente accettabile o meno.

Da segnalare anche la colonna sonora che include, tra gli altri, gli Arcade Fire e qualche momento di comicità di ottimo livello, ivi compresi gli improbabili baffi del protagonista.