#GovernoRenzi, il trionfo del Gattopardo

Matteo Renzi da oggi è il nuovo Presidente del Consiglio. Il più giovane di sempre. Con la squadra più giovane di sempre. Con la squadra più femminile di sempre. Più discontinuo così, che volete? Ecco, qua sta il problema.

Dove sia la discontinuità, rispetto al governo Letta, non è dato sapere. Anche perché potete metterci pure Mandrake, oggi come oggi, che tanto con il Parlamento attuale altro che una riforma al mese, sarà già tanto portare a casa la riforma elettorale (che non a caso Alfano e soci vogliono agganciare alla riforma del senato per durare il più possibile ed evitare la vendetta di Berlusconi nelle urne).

La lista dei ministri, del resto, parla da sola: il governo Renzi non è altro che il trionfo del Gattopardo e del Manuale Cencelli. Cambiare tutto (e nemmeno tutto si è cambiato) per cambiare niente: anzi, il governo, ora come ora, è più a destra di quello precedente.

Agli interni ci ritroviamo Angelino Alfano, quello che per Renzi a luglio 2013 doveva dimettersi per il caso kazako: non è più vicepremier, ma resta là, perché capo del partito che terrà in bilico il governo al Senato. Alle infrastrutture resta sempre il ciellino Maurizio Lupi, mentre alla Sanità Beatrice Lorenzin. E il Nuovo Centrodestra le sue poltrone se l’è tenute, il Manuale Cencelli è rispettato: fortuna che “al paese serve un governo di facce nuove” (dichiarazione di 7 giorni fa, eh).

Scelta Civica ha ottenuto il ministero dell’istruzione, con la mitica Stefania Giannini: ci voleva una neoliberista in questo dicastero chiave, in effetti l’istruzione pubblica non era già stata massacrata abbastanza dai ministri precedenti, su tutte il fantastico duo Moratti-Gelmini.

Alla difesa sloggia il ciellino Mauro, in quota popolari, e arriva Roberta Pinotti, sottosegretario uscente: nulla da segnalare, vedremo cosa farà con gli F-35, giudicati un disastro dai repubblicani USA, nel suo passato recente c’è l’essere stata trombata alle primarie come sindaco di Genova, battuta da Marco Doria.

La Bonino, la radicale buona per tutte le stagioni, lascia il posto a Federica Mogherini (responsabile pari opportunità della segreteria di Dario Franceschini nel 2009 e nominata responsabile Europa a dicembre in quella di Renzi), mentre al ministero del lavoro arriva Giuliano Poletti,  presidente dell’Alleanza delle cooperative, e all’Ambiente arriva il centrista Gianluca Galletti, già sottosegretario all’istruzione del governo Letta.

L’ex-ministro dell’ambiente del governo Letta, Andrea Orlando, trasloca invece al ministero della giustizia, per l’esultanza delle Camere Penali (e di Berlusconi): già responsabile della giustizia del PD con Bersani, si è recentemente espresso a favore dell’abolizione dell’ergastolo (anche ai mafiosi) e per una revisione del 41bis. Sarà per questo che è stato preferito al pm antimafia Nicola Gratteri, dato per certo e saltato all’ultimo (un ministro della giustizia che ne capisca di antimafia? Ma stiamo scherzando?).

La la giostra degli “ex” non è finita: Dario Franceschini, passato indenne a qualsiasi governo e a qualsiasi schieramento, trasloca al ministero della cultura (sostituendo Bray, elogiato dagli addetti ai lavori) e prima o poi ci dovrà dare la marca di colla che usa per rimanere inchiodato alla poltrona. All’agricoltura, invece, ci va Maurizio Martina, ex-segretario regionale della Lombardia, che è riuscito a perdere qualsiasi elezione si potesse perdere, quando era bersaniano: evidentemente Renzi ha voluto premiarlo per il suo ottimo lavoro ai danni dell’ex-segretario PD (stiano tranquilli gli agricoltori italiani, sono in ottime mani, ma fossi in loro, cambierei preventivamente mestiere).

Sarebbe come sparare sulla croce rossa, ma non si può non segnalare Marianna Madia alla Semplificazione e alla PA: compagna di scranno parlamentare di D’Alema (di cui voleva la ricandidatura perché sa l’Iliade a memoria), si è convertita sulla strada della Leopolda dopo il flop di Bersani e da dicembre è nella segreteria di Renzi. Come Maria Elena Boschi, alle riforme e rapporti con il Parlamento, stratega dell’ultima Leopolda, con un passato dalemiano anche lei. Si segnala la civatiana Maria Carmela Lanzetta, diventata ministro all’insaputa del suo leader di riferimento, giusto per sottolineare quanto importi a Renzi l’opinione del suo ex-compagno di rottamazioni Civati.

All’economia, invece, è finito Pier Carlo Padoan, che piace un sacco a UE e BCE (giusto per far capire che il tetto del 3% non si sfora) e lo Sviluppo Economico finisce alla Confindustria, con Federica Guidi, famosa per aver derubricato a “inutili” praticamente tutte le lauree non tecniche e di aver sottolineato come, senza le aziende di papà, lei sarebbe una disoccupata cronica perché laureata in giurisprudenza.

Tutte le lobby dunque son contente, il pupo fiorentino pure, quindi di cosa vi lamentate?

Certo, la gran parte dei nuovi ministri non sa assolutamente nulla delle questioni che da oggi dovranno gestire per l’Italia, ma cosa volevate, ministri competenti? Suvvia, siamo in Italia. Il merito, da noi, è usato solo come arma per escludere i più dal diritto allo studio: quello alla poltrona, invece, si garantisce per clientela. E non a caso, oltre ad essere uno dei paesi più corrotti al mondo, abbiamo anche dato i natali a quattro delle più letali organizzazioni criminali del pianeta.

Scusate se è poco.