A Sinistra, in direzione ostinata e contraria

Matteo Renzi è, con un risultato plebiscitario, il nuovo segretario del PD. Viva Matteo Renzi? No. Almeno non per noi. Non si discute che si tratti di un evento di grande portata: un 38enne che parla in modo diverso e propone soluzioni diverse dalla vecchia classe politica che per più di vent’anni a sinistra ha fatto danni incommensurabili è senz’altro una grande novità.
Tutt’altro paio di maniche è capire, però, se questa “nuova politica”, di cui il sindaco fiorentino è il rappresentante più noto, sia una svolta positiva per il centrosinistra, o quantomeno se sia la svolta che noi (inteso come “noi elettori del centrosinistra, in tutte le sue forme”) vorremmo.

La prima risposta che viene da dare è “Sì, il 68% degli elettori del Partito Democratico la vuole”: vero, ma in parte. Sono molti, infatti, quelli che hanno votato Renzi non per comunanza di vedute, ma perché sperano sia l’uomo giusto per vincere e, cosa più importante, mandare a casa la vecchia, vecchissima classe dirigente che ha guidato il centrosinistra negli ultimi decenni, i leader del “con questi dirigenti non vinceremo mai!”, per capirci (tacendo un attimo del fatto che sul carro di Renzi qualche vecchia volpe come Fassino ci sia salita).
E su questo punto mi voglio soffermare, o meglio, da questo punto voglio partire: l’82% (67,8% di Renzi+14,2% di Civati) dei votanti alle primarie del PD ha voluto dare un segnale di forte discontinuità con il passato, rappresentato non tanto da Cuperlo in sé, quanto da tutta la nomenklatura che lo sosteneva.
Da questo punto di vista, dunque, l’elezione di Matteo Renzi a segretario di quello che, in teoria, resta il maggior partito del centrosinistra italiano, potrebbe essere una buona notizia, se davvero riuscirà a portare a compimento il suo intento “rottamatore” e a rinnovare questa classe dirigente.

A questo punto, mi si potrebbe dire: “Maccome? Ti contraddici! Hai iniziato l’articolo dicendo che la vittoria di Renzi non è qualcosa di cui essere soddisfatti!”. Appunto, veniamo ora  alle “note dolenti”: Renzi ha sì archiviato una stagione triste, per non dire lugubre, del centrosinistra italiano, ma l’ha fatto mettendo da parte anche tutta la storia, la tradizione, i valori, in una parola, tutta l’ideologia (termine bolsevico!) della sinistra italiana.
Sia chiaro, non che D’Alema&Co. abbiano rispettato e valorizzato molto tutto il patrimonio storico-culturale che ci arriva dal PCI, ma non avevano mai effettuato una cesura netta con quel patrimonio, non vi si erano mai distaccati ufficialmente. Renzi, invece, lo sta facendo, perché, a suo dire “per vincere le elezioni bisogna convincere quelli che l’ultima volta hanno votato dall’altra parte”: il ragionamento, a livello logico, non fa una grinza, ma inseguendo i delusi del PDL, il rischio è di perdere definitivamente quelli che sono i delusi del PD.

E a pensarci bene, forse non è poi una brutta notizia: non me ne vogliano i democratici, ma è un fatto innegabile che negli ultimi anni, per convinzione o per convenienza politica, il PD abbia ceduto ad una deriva centrista sempre più forte, culminata proprio domenica con l’elezione a segretario del ragazzo di Rignano sull’Arno, il cui profilo e curriculum non sono certo quelli di un leader di sinistra.
Non è una brutta notizia, come dicevo, perché, ora più che mai, c’è la possibilità di creare una forza politica forte che si situi a sinistra del Partito Democratico, capace di raccogliere l’eredità della Sinistra, quella vera, ma allo stesso tempo di non fermarsi al 3% e perdersi in mille scissioni (e qui non me ne vogliano gli elettori di SEL e Rifondazione).

Sono oramai anni che si sente parlare della possibilità che nasca questo fantomatico partito, nell’ultimo periodo se n’è parlato in particolare in relazione alle figure di Maurizio Landini e Stefano Rodotà. Mica male, mi permetterei di dire io.
Bisogna fare però attenzione: quello che ci si auspica non è un “PCI 2.0”, sarebbe errato ed anti-storico ricreare un partito con questo nome, fin troppo facile da attaccare, oltretutto, in un Paese che da vent’anni si sente ripetere quanto siano brutti-sporchi-cattivi i “comunisti” (termine usato per indicare un po’ qualsiasi cosa, da Prodi a Cossutta), e sarebbe sbagliato guardare il mondo di oggi con gli occhi di trenta-quarant’anni fa.

Quando morì Enrico Berlinguer, Roberto Benigni scrisse: “Adesso lo so che si dirà: Berlinguer è morto, torniamo indietro; io invece vorrei dire: Berlinguer è vivo, andiamo avanti”. Andiamo avanti non con quelle stesse battaglie, ma con quegli stessi ideali, andiamo avanti stando ancora dalla parte dei più deboli, andiamo avanti credendo ancora nella nostra Costituzione, andiamo avanti dicendo il liberismo non è equo, che Margaret Thatcher non può essere il modello di chi si definisce progressista, andiamo avanti, e ribadiamo con forza, che la nostra Repubblica si basa sui valori dell’antifascismo e che non è “vecchio” chi il 25 aprile celebra la Resistenza e il 1 maggio manifesta al fianco dei lavoratori; non dimentichiamo dunque il passato, ma allo stesso tempo intercettiamo il malcontento di oggi, alla luce di quelli che sono i problemi di oggi e le soluzioni di cui c’è bisogno oggi.

Si è aperto un grande spazio politico, e sarebbe un peccato lasciarlo vuoto, così come sarebbe un peccato riempirlo con un altro soggetto che nasce e muore nello spazio di un’elezione. Probabilmente non si tratterebbe di un soggetto politico capace di governare, almeno all’inizio, ma sarebbe un’opposizione vera, dura quando necessario, costruttiva quando possibile, come quella che per decenni, pur coi suoi difetti e gli errori che sono stati commessi, la sinistra italiana seppe portare avanti. Per tutti questi motivi, mi sento di cambiare l’affermazione con cui ho aperto questo articolo: Viva Matteo Renzi? Sì, ma visto da lontano.

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