Grecia, cronaca del finanziarismo

Cosa sta succedendo in Grecia? Verrebbe da chiedersi se sia mai possibile che un romanzo storico come quello greco, fatto di molti momenti difficili – guerre (interne e esterne), carestie, razzie, dispotismi (antichi e moderni), faide politico-religiose – in numero nettamente superiore agli eventi gloriosi che così tanto hanno donato al pensiero umano (sicuramente a quello occidentale) in termini filosofici, scientifici, letterari e anche, perché no, politici trovi il proprio inglorioso epilogo sotto i colpi di una recessione finanziaria che negli ultimi 5 anni ha privato la Grecia di più del 25% della sua ricchezza (già non particolarmente elevata).

No, non possiamo in alcun modo essere così superficiali nella nostra analisi al punto di concluderla con una semplice frase fatta del tipo “Eh, ma se la Grecia si è indebitata, sarà ben colpa sua, o no?”. Risposte-domande così sciocche non ce le possiamo permettere, per il semplice fatto che molti altri Paesi (e non è il caso di farne qui l’elenco) hanno livelli di debito pubblico enormi, derivati in parte da una non corretta gestione della spesa pubblica e in parte da una palese assenza di capacità (o onestà, ma questo è un altro discorso) degli organi di governo nazionale su quale fosse la corretta direzione da dare alle politiche economiche e industriali dei rispettivi Paesi.

Ma ciò che sta accadendo in terra ellenica non è solamente ciò che è in atto nel resto d’Europa, cioè la dimostrazione scientificamente provata del completo fallimento della concezione neoliberista di chiara discendenza thatcheriana e di conseguenza una altrettanto forte ed incalzante necessità di dare nuovo impulso a politiche neokeynesiane di regolamentazione giuridica dei processi di mercato, di tutela dei consumatori e di investimento statale in settori strategici per lo sviluppo economico, tale da poter innescare il famoso circolo virtuoso “consumi – domanda – produzione – occupazione – redditi – consumi”.

Ma in Grecia sta accadendo qualcosa di diverso e inquietante. E’ in atto un attacco frontale e sistematico a quella costruzione giuridico-comunitaria di certo non perfetta, ma che comunque resta la migliore possibile con i dati di caratterizzazione dell’età moderna e post-moderna: questa costruzione si chiama Stato. Se la Grecia fosse un essere umano, potremmo a buon diritto dire che sta subendo un esperimento di modificazione coatta del proprio DNA. Un esperimento criminale e ad altissimo tasso di rischio.

Ma chi è questo scienziato “pazzo” che ha un simile progetto nella propria agenda delle priorità? E’ il finanziarismo, una corrente pseudo-culturale (se così la possiamo chiamare) cui prendono parte diversi attori: settori più o meno mediaticamente noti del FMI, della Federal Reserve, delle grandi Corporations multinazionali, del banchierismo globalizzato. Ebbene il sogno occulto del finanziarismo (lungi dall’includere nella propria sozza putredine tutta la finanza, che invece deve essere un valido e regolamentato strumento di sostegno e beneficio per l’economia sociale di mercato) ha trovato un modo per mettere in pratica i propri progetti.

Al contempo è stata messa in campo una micidiale arma da guerra per nulla gioiosa che ha distorto l’essenza di quanto stava accadendo tra il 2008 e il 2009 in Grecia dirottandone le responsabilità su quella debole istituzione che è l’Unione Europea. La vera colpa dell’UE è, in verità, la sua estrinseca operativizzazione, cioè il sostanziale deficit di legittimità democratica di cui essa soffre, che la rendono debole, fiacca, incapace di difendere se stessa e i suoi cittadini. Ma gli abili signori del finanziarismo, purtroppo dotati di mezzi ben più potenti dell’UE e dei singoli Stati membri, hanno agito in modo tale che agli occhi dell’opinione pubblica europea, globale e, ancor di più, greca, la colpa intrinseca dell’esistenza stessa della crisi fosse dovuta all’esistenza stessa dell’Unione Europea.

Insomma, questi poteri hanno agito in modo tale da mettere in atto due azioni egualmente criminali e devastanti: stanno letteralmente spappolando l’essenza stessa della statualità greca (ma il modello è ripetibile e replicabile) sia come Stato-apparato, con processi privatizzativi generalizzati, sia come Stato-comunità, con la delegittimazione intrinseca dei grandi ideali che hanno portato, nonostante le tragedie e i totalitarismi del ’900, al modello di Democrazia per come esso ha trovato la maggior realizzazione nelle democrazie politiche europee: Libertà, Eguaglianza, Giustizia sociale; hanno fatto sì che le responsabilità ricadessero (mediaticamente e politicamente) sull’Europa.

Potremo ripartire, come coscienza civica comune, solo ed esclusivamente nella misura in cui sapremo cambiare rotta alle politiche pubbliche, ponendo finalmente al centro la dignità del Lavoro, la tutela della Persona e l’Eguaglianza sostanziale e solidale.