La vita che scorre

Quando vaghi per una libreria, la prima cosa che ti colpisce di un libro è la copertina. La guardi per un po’, molto distrattamente, soffermandoti sul titolo e l’autore, cercando di studiare in superficie quello che poi, se sarà amore a prima vista, finirai per trovare tra quelle pagine che ti terranno compagnia per un po’ e, se il libro è bello, ti dispiacerà abbandonare.

E vi assicuro, abbandonare le pagine dell’ultimo libro di Emmanuelle de Villepin dispiace, e molto. Un libro avvincente, di quelli che ti prendono e non li lasci più finché non li hai finiti, che riescono a lasciarti qualcosa dopo averli letti.

La vita che scorre (Longanesi, 219 pp, euro 14,90) è un romanzo che traccia la vita di un uomo, Antoine, riuscendo nella straordinaria impresa di dare voce in maniera assolutamente nitida e reale ai sentimenti degli esclusi. Non solo, raccontando i drammi del suo protagonista, Emmanuelle de Villepin riesce a restituire al lettore non solo la violenza e la barbarie dei nazisti che radono al suolo Oradour-sur-Glane (la Marzabotto di Francia), ma anche la quotidiana violenza e barbarie di un mondo che non era e non è progettato a misura di persone con disabilità.

Di più, in maniera sorprendente riesce a delineare la frustrazione non solo dell’escluso, ma anche di chi gli sta intorno, di chi gli vuole bene e si accorge che quel mondo non è altro che una giungla di ostacoli, indifferenza e, soprattutto, ipocrisia perbenista. A cui Antoine (segnato non solo dal dramma infantile della perdita dei genitori, ma anche da quello adulto della morte della moglie) e sua figlia Elisa, sulla sedia a rotelle dalla nascita, oppongono una fierezza e una dignità che manda all’aria gli stereotipi radicati nella cultura dominante. E lo fanno cercando di condurre un’esistenza normale, benché quegli stereotipi fossilizzati in pregiudizi gli vengano sbattuti in faccia ogni giorno.

Il libro si struttura attorno a tre date della biografia di Antoine, a ciascuna delle quali è associato un verso della poesia Automne malade di Guillaume Apollinaire (les feuilles qu’on foule, un train qui roule, la vie s’écoule), con l’ultimo che dà anche il titolo al romanzo. Durante il quale si alternano momenti toccanti, come il desiderio di Elisa di “passare una giornata da sola”, a colpi di scena straordinari sugli amori proibiti della scorbutica e simpatica Tante Manou, a cui non potrete non affezionarvi.

Un bel libro, che ti fa riflettere e che ci ricorda come la “verticalità” non sia solo una questione fisica, ma anche psicologica. E che per essere “verticali” non necessariamente c’è bisogno di reggersi sulle proprie gambe.