Democrazia e matematica

di Federico Boem

Scriveva Karl Popper che “il nostro mondo, il mondo delle democrazie occidentali, non è certamente il migliore di tutti i mondi pensabili o logicamente possibili, ma è tuttavia il migliore di tutti i mondi politici della cui esistenza storica siamo a conoscenza”.

Come dire che la democrazia così come la conosciamo noi è ciò che di meglio poteva capitarci.

Nello scorso intervento si parlava del fatto che la maggioranza sembra poter possedere delle virtù tali per cui non dovesse essere dipinta semplicemente come una massa ignorante.

La faccenda va però presa con le molle. Se guardiamo ad esempio all’ultimo ventennio del nostro paese, parlare di saggezza della maggioranza sembra quasi un controsenso e si potrebbero elencare mille fatti pronti a smentire una tale affermazione.

La maggioranza può sbagliare e tuttavia appare altrettanto sbagliato escludere le persone dai processi decisionali.

Tutto questo per dire che la superiorità della democrazia sembra cosa banale ed ovvia ma invece sotto la cenere riposano molti problemi di non facile soluzione.

A tentare di risolvere tali questioni, oltre alla teoria politica (e forse a complemento di essa) in tempi abbastanza recenti si è aggiunta anche la matematica.

Nel 1952 Kenneth May dimostrò matematicamente che la votazione a maggioranza fosse l’unica forma di votazione, posto che vi fossero solo due alternative tra cui scegliere, che garantisse certi requisiti e preservasse certi diritti.

In particolare May dimostrò che, in tali condizioni, la votazione a maggioranza fosse l’unica forma che tutelasse l‘espressione della libertà individuale, il fatto che il risultato dipendesse esclusivamente dal numero dei voti, il fatto che vincere in una votazione perché si sono presi più voti si mantenga anche nelle future votazioni in cui si prendono più voti (in logica questa caratteristica si definisce monotonicità) ed infine l’anonimato per cui non ci sono elettori speciali o che contano più di altri.

May mostra insomma che quando la votazione è tra due scelte possibili, la scelta dei singoli “si trasmette”, per così dire, logicamente alla scelta sociale.

Purtroppo le cose si complicano quando le alternative o i candidati sono più di due. E’ il caso evidenziato già alla fine del ‘700 dal famoso paradosso di Condorcet. Senza entrare nei dettagli il paradosso evidenzia come, nel caso ci siano almeno 3 alternative, le preferenze collettive, in votazioni ripetute, possono produrre risultati in disaccordo rispetto alle preferenze individuali che le sostengono.

Come dire che in certe situazioni è possibile votare inizialmente contro i propri interessi o ideali e tuttavia ottenere un risultato migliore e che la reiterazione del voto può alterare il risultato finale.

Il paradosso di Condorcet fornisce la base teorica per un altro risultato formale, scoperto dal matematico Kenneth Arrow, economista e matematico con un passato da logico, che poi nel 1972 ha vinto il Nobel per l’economia.

Se il paradosso di Condorcet mostrava che nella votazione a maggioranza tra tre o più alternative le scelte individuali non si estendono a quelle sociali, in soldoni il teorema di Arrow dimostra come sia impossibile non solo per la votazione a maggioranza ma in generale.

Senza entrare nei dettagli matematici facciamo un esempio concreto.

Immaginate che si debba votare alle primarie del PD due candidati, Cuperlo (X) e Renzi (Y) per decidere chi debba sfidare Berlusconi (Z), e che ci siano tre stereotipi di elettore. Immaginate poi che le primarie siano aperte a tutti i cittadini. L’elettore A è un dalemiano di ferro. L’elettore B è un renziano mentre l’elettore C è in realtà un berlusconiano convinto.

Il dalemiano (A) naturalmente mette Cuperlo (X) al primo posto, Renzi (Y) al secondo perché pur essendo non proprio di sinistra è comunque del PD mentre Berlusconi (Z) ovviamente al terzo. Schematicamente l’elettore A  ha questo ordine di preferenze: 1X, 2Y, 3Z

Per il renziano (B) invece l’ordine è questo: 1Y, 2X, 3Z

Infine l’estimatore di Berlusconi (C) ha una lista di preferenze in questo modo: 1Z, 2Y, 3X

Si potrebbe pensare che la preferenza sia transitiva: se il berlusconiano preferisce Berlusconi a Renzi (Z>Y) e Renzi a Cuperlo (Y>X) allora è logico che debba preferire Berlusconi a Cuperlo (Z>X).

Tuttavia nel caso in cui ci sia da scegliere più volte e si possa così influire sull’ordine delle scelte la situazione cambia.

Vediamo.

L’elettore A vota Cuperlo (X) mentre il renziano vota naturalmente Renzi (Y). Il punto è che benché Renzi possa essere più vicino a Berlusconi da un punto di vista programmatico e ideale, l’elettore C (il berlusconiano) vota inizialmente a favore del candidato più distante (X) per farlo vincere alle primarie, sapendo che poi Berlusconi (Z) avrà più vita facile nello sconfiggere il comunista burocrate e cattivo che il giovane e rampante sindaco di Firenze.

Se invece paradossalmente la scelta iniziale fosse stata tra Berlusconi e Renzi il Berlusconiano avrebbe forse votato diversamente.

Il teorema di Arrow ci dice appunto che l’ordine delle votazioni non è irrilevante per determinarne il risultato e che invece può falsare la votazione.

Il significato esteso di questo teorema è abbastanza dirompente. Alcuni sostengono che dimostri che la democrazia è impossibile.

Più moderatamente, esso mostra come il voto a maggioranza non sia una garanzia di democraticità, per cui l’opinione dei votanti è sempre rispettata e nella quale, se tutto fila liscio, le volontà dei votanti sono sempre tutelate e rispettate.

Date le pesante conclusioni del teorema appare quindi ovvio (anzi è dimostrato!) che il buon funzionamento di un sistema democratico non possa dipendere dalla sola ingegneria elettorale ma sia necessario anche considerare altri fattori.

Di questi ulteriori fattori appunto parleremo prossimamente.