#Brunetta, la #Rai e il mercato

Alla fine, il soldato Brunetta ce l’ha fatta.

Dopo l’imbarazzante performance a Che tempo che fa della scorsa settimana, durante la quale, pur di non rispondere ad una semplicissima quanto legittima domanda riguardante il caso-Alitalia, ha acceso la mitraglietta e bombardato Fazio riguardo il suo compenso, la televisione pubblica ha bloccato la trattativa per portare Maurizio Crozza su RaiUno e rimandato l’accordo con Roberto Benigni.

Nel mondo politico, e ancor di più in rete, le esternazioni populiste di Brunetta hanno trovato terreno fertile per germogliare e diffondersi: immediato l’appoggio di Grillo e dei suoi all’ex ministro contro lo scandaloso sperpero di denaro pubblico per pagare le performance di un pennivendolo-mortochecammina-asservito al PD.

Sia chiaro, 1 milione e 800 mila euro di ingaggio (questo in teoria il compenso di Fazio, ma la Rai non è tenuta a divulgare i contratti dei propri dipendenti) è certamente una cifra spropositata, ma siamo proprio sicuri che sia questo grande scandalo? Stando alle dichiarazioni dello stesso conduttore, il suo emolumento è pagato dalle entrate pubblicitarie, non un solo euro dei contribuenti entra nelle sue tasche.
Si dirà: “Embé? Di certo non si auto-accusa di guadagnare troppo!”. Indubbiamente vero anche questo, ma a pensarci bene, non ha certo tutti i torti. E a dirlo non sono io né Fazio né la stessa Rai: è il mercato.

Sì, perché i programmi di Fazio (ma vale anche per Crozza e Benigni) possono piacere o non piacere, ma non si può mettere in dubbio che abbiano successo, dunque che siano seguiti.
Ora, io non sono certo un esperto di economia, ma fino a questo semplice ragionamento ci può arrivare chiunque: se i suoi programmi sono seguiti, il conduttore in questione diventa molto richiesto dalle altre emittenti, dunque aumenta il suo valore di mercato.
La concorrenza, in un settore come quello televisivo, è spietata, ancor di più ora che i bilanci delle aziende che se ne occupano sono in rosso (vale per Rai, ma anche per Mediaset e La7) e devono vedersela con i colossi delle pay-tv, dunque non dovrebbe sorprendere che, per avere i “pezzi pregiati”, occorra sborsare cifre superiori!

Non sto facendo un discorso di carattere etico, voglio chiarirlo, altrimenti sì, dovrei dire che questi contratti sono faraonici ed esagerati, che il servizio pubblico non dovrebbe essere un modo per alcuni di arricchirsi. Pensandoci a mente fredda, in modo logico, è davvero Fazio (o Crozza o Benigni) il problema della Rai? O sono forse i soldi spesi per i Ferrara (che, cosa più grave di tutte, andò a profanare lo spazio che fu di Enzo Biagi), per i Vespa, per i Luca Giurato (che non c’entra nulla con la politica, ma rende bene l’idea, direi…)? Soldi usciti, ma che non rientrano, investimenti a perdere dannosi per qualsiasi azienda.

In sostanza, nel momento in cui andate a pagare il canone, preferite pagare una televisione che costa poco o una televisione di qualità? Lasciamo un attimo da parte Fazio, che da anni è accusato di faziosità (e si perdoni il gioco di parole), e concentriamoci su Crozza e Benigni: il primo è indubbiamente il comico televisivo più apprezzato dal grande pubblico negli ultimi anni, uno dei pochi che ancora fa satira politica in televisione, un affare sicuro per qualsiasi azienda televisiva, in sostanza (…e a Ballarò riesce pure a far ridere i pidiellini, talvolta!). Il secondo è un premio Oscar conosciuto in tutto il mondo, un artista che è stato capace di portare in prima serata sulle reti nazionali la Divina Commedia e la Costituzione, probabilmente il più grande catalizzatore televisivo, al giorno d’oggi. Un investimento senza rischio di perdita.

Questo significa forse che piacciono a tutti? No, ovviamente, sarebbe impossibile, e non credo di dire il falso affermando che nessuno dei tre sia un elettore PDL, ma ciò non toglie che sarebbero soldi pubblici ben spesi. E ancora, come in precedenza, a dirlo non sono io, ma le più basilari leggi di mercato.

Mi si farà allora notare che “la vera sinistra il mercato capitalistico lo contesta!”, affermazione legittima (anche se, a ben vedere, la Rai è un’azienda pubblica che opera in un campo in cui c’è molta concorrenza, non ha il monopolio delle telecomunicazioni, quindi deve necessariamente adeguarsi a tali leggi o è destinata a sparire), ma il “bello” di tutta questa storia è che le critiche ai compensi di Fazio&C. non arrivano dall’estrema sinistra (o meglio, non solo da lì), queste critiche prendono avvio da Brunetta, un membro di un partito di centrodestra che da vent’anni, nelle parole del suo padre-padrone, si dichiara liberale, aperto al libero mercato e alla concorrenza, per non dire del fatto che lo stesso Brunetta era tra i consiglieri economici di Craxi, non certo un parsimonioso gestore dei conti pubblici.

“Beh, almeno su Grillo non si può dir nulla, da anni col suo movimento contesta gli sprechi di denaro pubblico!”,
da anni, vero, ma non da decenni: come ricordato da Curzio Maltese su Repubblica qualche giorno fa, infatti, Grillo, a fine anni ’80, derideva i moralisti del tempo, vantandosi di guadagnare 350 milioni di lire con una sola ospitata a Sanremo.

In conclusione, non si può certo negare, e non è mia intenzione farlo, che la Rai sia un’azienda con grandi problemi, un’azienda asservita alla politica e a giochi di potere e spartizioni che vanno avanti pressoché da sempre, così come è palese che, leggendo certe cifre, venga voglia di spegnere la televisione e lanciare il telecomando. Poi uno cambia canale, si trova davanti la Palombelli a Forum o anche Santoro e Travaglio su La7 (sì, scusatemi, ma non si possono proprio più vedere!) e pensa che forse, in fondo in fondo, Fazio non è poi tanto male (anche se questa frase perde parte della sua veridicità, dopo lo spettacolo indecente offerto da Maradona, che come sempre è tanto inopportuno con le sue azioni quanto era geniale con la palla fra i piedi).

P.S.: oltretutto, se ci pensiamo bene, quando Brunetta attacca questi personaggi, in realtà sta solo cercando di abbassare qualitativamente il livello dei programmi Rai. E forse, ma dico forse, da questo, alla concorrenza, qualche vantaggio ne deriva. Se poi si pensa chi è il proprietario della concorrenza, ci vuole veramente poco a fare due più due.
Così, giusto per ricordarlo.