Tabucchi, un ricordo

di Pierpaolo Farina

Te ne sei andato un anno fa, era di domenica. Non mi ricordo se piovesse come in questi giorni, forse c’era il sole, probabilmente si sentiva già l’aria di primavera, ma quando quella domenica mattina accesi il computer e appresi la notizia, il mondo aveva perso un po’ della sua luce. O quanto meno io avevo perso un po’ di luce.

Chiamai subito Laura, che non sapeva nulla. Perché non ti eri fatto proprio sgamare, benché la prima e l’ultima volta che ti incontrai, in quella notte di ognissanti, a parlare di viaggi e altri viaggi, di Berlusconi e di migranti, dei senzaterra e di chi ne aveva troppa, alla fine ti eri fatto portare del whisky. Lo chiesi per il mal di schiena, probabilmente era già allora per il male che ti stava lentamente  sradicando da questa terra per portarti chissà dove, di sicuro in un posto più bello da quel paese orrendo che era diventata, per te, l’Italia.

Eri simpatico, alla mano, a differenza dei divi della letteratura, che già giovanissimi si atteggiano a star, senza averne né lo stile né le capacità, ti fermavi a pensare a cosa scrivere ad ogni dedica, ognuna diversa, chiedevi il nome, parlavi, ti interessavi. Quando me ne sono andato, quel 31 ottobre 2010, pioveva a dirotto, proprio come oggi. Mi salutasti per nome, ricordandotelo, cosa più unica che rara, perché le persone tu le guardavi in faccia, il lettore non era un consumatore, un numero, un mezzo per far soldi, ma era un interlocutore.

Su di te quando sei morto hanno scritto fiumi di parole, ma quando Renato Schifani ti querelò per un milione di euro, perché ti eri permesso di dar notizia all’estero di quanto Travaglio aveva riferito in patria, nessuno del mondo intellettuale e giornalistico italiano mosse un dito. Solo dopo che in tutta Europa e in tutto il mondo inaugurarono una raccolta firme a tuo sostegno, allora gli italiani si adeguarono, solo per non fare una figuraccia.

Ti farà piacere sapere che mentre ti ricordavamo sabato scorso in libreria, leggendo il tuo Piazza d’Italia, Schifani è stato battuto da Grasso, che ora è la seconda carica dello Stato. Ti ho pensato, ecco la rivincita degli onesti. Il problema, come al solito, è che tu sei morto, anche se vivi in noi. Ti avrei preferito vivo, scrivente e pensante, ma forse ora che sei cenere nel corpo e abiti in ciascuno di noi, forse puoi fare più di prima, attraverso il cuore, la passione e l’umanità che ci hai trasmesso.

Avevi scritto, nel tuo Tristano muore, “la vita non si racconta, te l’ho già detto, la vita si vive, e mentre la vivi è già persa, è scappata.” Purtroppo, avevi ragione. Ciao, Antonio.