Il laboratorio sociale di Adriano Olivetti

Ivrea, estate 1914. Adriano Olivetti ha 13 anni e lavora alla catena di montaggio nell’officina del padre Camillo. Sarà questa esperienza a segnare Adriano per sempre e a proiettarlo verso un’innovativa gestione aziendale. L’azienda produce articoli di cancelleria ed è di piccole dimensioni (conta venti operai). Camillo Olivetti è un liberal socialista che durante il ventennio fascista (affiancato da Sandro Pertini e Ferruccio Parri ) aiuta Filippo Turati ad espatriare in Francia.

Adriano è, sin da giovane, caretterizzato da un’intensa voracità culturale. Si laurea in ingegneria chimica presso il Politecnico di Torino e nel 1932 diventa direttore dell’azienda di famiglia. Assume una coscienza antifascista ed è schedato come sovversivo. Per un periodo è costretto a rifugiarsi in Svizzera, dove cerca di mantenere i rapporti con il movimento “Giustizia e libertà”. Finita la guerra, Adriano ricomicia a lavorare per l’azienda.

Il fine dell’impresa è unicamente il profitto? Questa è la domanda che Olivetti si pone. L’eclettico imprenditore, appassionato di architettura, storia e nuove tecnologie comprende che il profitto deve essere reinvestito per il benessere della comunità. E’ nella Olivetti degli anni ’50 che viene “reinventato” il rapporto tra l’imprenditore e l’operaio: l’azienda diventa un laboratorio sociale.

Le innovazioni apportate da Olivetti sono diverse. Si parte da una nuova concezione dell’ambiente lavorativo che deve essere luminoso (per questo il vetro assume un ruolo principale nell’estettica delle strutture) per motivi sociologici, psicologici e produttivi. Per la prima volta nell’industria italiana la bellezza diventa un mezzo per l’elevazione dell’uomo.

La psicologia è necessaria per modificare l’organizzazione lavorativa. Alla linea di montaggio si sostituiscono le isole che consentono di migliorare il livello qualitativo del prodotto e di creare una maggiore soddisfazione nel lavoratore. La lungimiranza di Olivetti si intravede anche (e sopratutto) nella diffusione della cultura, considerata lo strumento fondamentale per educare i giovani. Durante l’orario lavorativo si tengono corsi sulla storia del movimento operaio e gli operai stessi hanno la libertà di consultare i volumi (più di 50.000) presenti nelle biblioteche della fabbrica. Si tengono concerti di musica classica, convegni, incontri, mostre d’ arte alle quali partecipano intellettuali del calibro di Pasolini.

Garantire i servizi sociali è importante per tutelare l’integrità psicologica e di conseguenza la motivazione del personale. Per questo Olivetti dà vita a una fitta rete di servizi sociali , assicurando alle madri operaie il diritto di portare i figli all’asilo nido e il permesso lavorativo di 9 mesi nel periodo della gravidanza (lo stipendio viene erogato per intero). Inoltre, il salario alla Olivetti è superiore del 20% rispetto alla base contrattuale stabilita con i sindacati e il sabato è libero. I risultati aziendali non possono che essere positivi. La produttività in poco più di dieci anni aumenta del 500% e i profitti sono alle stelle. La grafica Olivetti è apprezzata in tutto il mondo e la macchina da scrivere Lettera 22 è definito il primo fra i 100 migliori prodotti degli ultimi 100 anni.

Adriano Olivetti non è ben visto dalla maggior parte dell’imprenditoria italiana del momento. Viene definito l’imprenditore rosso e la Confindustria (di cui non faceva parte) avvia una vera e propria campagna per boicottare i suoi prodotti. Sceglie di distinguersi da quell’ambiente egoista per preservare il mondo del lavoro dallo strapotere della finanza. Olivetti è un diverso, per questo è lasciato solo. Muore durante un viaggio in treno, a soli 59 anni, colpito da emorraggia interna.

Nel 1963, tre anni dopo la sua morte, il gruppo esce dal mercato dell’elettronica (l’azienda produce Elea, il primo elaboratore al mondo) e viene (s)venduta alla General Electric (nella piena indifferenza della classe politica e imprenditoriale di quegli anni).

L’eredità di Olvetti, la perfetta armonia tra capitale e lavoro, la sua creatività, il suo ottimismo e il suo entusiasmo sono andati perduti col tempo. Non sarebbe giunta l’ora (sopratutto per la sinistra) di riproporre un modello che funzionava e di contrapporlo a quello egocentrico, conflittuale e avaro di Marchionne?