Feltri nel suo mondo immaginario: “La mafia è roba del Sud, a parlarne si scredita il paese”

Era il 30 aprile il giorno in cui Grillo parlò così di mafia: “La mafia non ha mai strangolato le proprie vittime, i propri clienti, si limita a prendere il pizzo.”

Ma Vittorio Feltri, sul Giornale di oggi è riuscito a fare di meglio con un articolo anch’esso riguardante la mafia dal titolo “Che barba la mafia. È solo «cosa loro»”, dimostrando palese ignoranza su questo argomento.

Come possiamo notare, i discorsi sulla mafia provocano in lui della noia:

L’argomento non mi interessa, a meno che non sia trattato da Leonardo Sciascia: il suo Giorno della civetta è un capolavoro (discreto anche il film che ne fu tratto). Il resto è noia, come direbbe Franco Califano cantando d’altro. Mai vista una puntata della Piovra. Il padrino, dopo dieci minuti di proiezione, mi aveva già stufato.

Inoltre, Feltri aggiunge che Cosa Nostra è un problema che riguarda la Sicilia e basta.

Cosa nostra è un affare siciliano, e la Sicilia è lontana, incomprensibile. L’ho visitata senza comprenderla. Osservando la splendida natura, ho constatato che la regione è una miniera d’oro non sfruttata per imbecillità: con quelle coste, con quei paesaggi, con la cultura che si respira nella zona, è sorprendente rilevare come la gente sia in bolletta, campi di espedienti – in certi casi criminali – e di impiego pubblico, il che è lo stesso.

Prosegue asserendo:

Al Centro e al Nord dello stivale la filiera mafiosa ha affondato qualche radice: ovvio, il denaro sporco si aggrega a quello pulito. Ma diciamolo chiaramente: il vivaio della piovra è in acque meridionali ed è lì che bisogna agire per eliminarlo. Ancora più crudelmente: se questo è un affare siciliano, se lo grattino i siciliani. Ma grattino forte.

Non essendo Riina e Provenzano due cime d’intelligenza, Feltri giunge alla conclusione che gli uomini che hanno dato la vita per contrastarli sono dei veri nullafacenti.

Ma se la testa è quella dei Riina, dei Provenzano e dei Brusca, tanto difficile da mozzare non poteva essere. La conclusione è solamente una: se uomini così bassi sono riusciti per tanto tempo a sfuggire alla giustizia, significa che coloro i quali li braccavano invano erano più bassi ancora.

E non finisce qua, a soli due giorni dal ventennio della Strage di Via d’Amelio, Feltri ritiene che ricordare questi fatti non fa altro che screditare il nostro Paese ed è giunto il momento di accantonarli e lasciarli al passato.

A parte ciò, sono trascorsi venti anni e più dalla soppressione violenta di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, ma siamo ancora qui a discuterne. Che barba. Il bandolo della matassa è introvabile. Gli esperti si intorcinano in dibattiti sterili. Servizi televisivi. Ricostruzioni giornalistiche lacunose. Analisi politiche approssimative. Un oceano di parole in cui la verità affoga. Negli ultimi mesi tiene banco la supposta trattativa tra mafia e Stato allo scopo di fermare gli attentati terroristici dei primi anni Novanta. Roba vecchia, di cui pochi hanno memoria. Eppure si dice che criminali ed eminenti statisti si incontrarono e negoziarono: Cosa nostra pretendeva dalla controparte che mitigasse le pene del 41 bis( legge disumana, ispirata ai principi della tortura scientifica) e, in cambio di questo, avrebbe sospeso le ostilità esplosive.

Caro Feltri, ricordare e raccontare questi fatti non significa e non significherà mai fare soltanto memoria. Lo sarebbe se questi fatti appartenessero davvero al passato, alla storia, se fosserò già analizzati e risolti. Essi continuano a mantenere tante domande che gravano sul presente. Allora, raccontare questi fatti significa portare avanti una trama infinita, perchè in questo curioso Paese il passato riesce ad essere presente ma anche futuro.

Raccontare le imprese di eroi come Falcone e Borsellino significa commemorare grandi esempi di onestà, forza e coraggio e farne da stimolo per noi tutti. E c’è chi ancora aspetta e vuole la verità