Volevo lavorare (e fare lo scienziato)

La scienza non è solamente super imprenditori, profitti miliardari, farmaci killer, cibo spazzatura, chimica che avvelena l’aria e l’acqua, finanziamenti pubblici a pioggia e non è solo quella cosa lì che c’è scritta nei libri che poi si sa che i libri li scrivono i governi e le case farmaceutiche, la scienza è fatta soprattutto di e da lavoratori.

Nella ricerca gli orari non ci sono. Nella ricerca a volte neanche i fine settimana esistono. Nella ricerca ci sono quelli geniali, quelli sfortunati che per mesi non hanno risultati e quelli che comunque vada se la prendono comoda, quelli onesti, quelli che rubano, quelli che mentono. Ci sono quelli delle industrie, che timbrano il cartellino, e quelli delle università, senza orari fissi, che a volte è pure peggio.

Nella ricerca il precariato esiste addirittura da prima del precariato, si chiamava e si chiama tutt’ora con molti nomi: dottorato, post-doc, posto da ricercatore, direttore Ricerca&Sviluppo a tempo determinato, poltrona da associato e poltronissima da ordinario, operaio con la laurea perché all’università mica ti avranno insegnato a lavorare, telefonista di call center perché di fisici non c’è bisogno, aiuto pizzaiolo perché un bocconiano è più utile di un matematico (e le stelle stanno a guardare Brenda Dietrich…).

Chi è bravo o forse chi è fortunato la ricerca scientifica finisce per farla davvero.

Moltissimi, ad un certo punto della loro vita, ricadono fatalmente nella categoria preferita dei giornali nostrani: i “cervelli in fuga”, definizione spesso usata a casaccio, perché la formazione scientifica, forse più di altre, richiede almeno un’esperienza all’estero: esistono da anni, per esempio, fondazioni ed enti europei nati proprio per favorire la mobilità internazionale degli scienziati, soprattutto giovani.

I lavoratori della scienza non diventano quasi mai ricchi. Diamo un po’ di numeri:  in Italia, a oggi l’ammontare della borsa di dottorato (quando c’è o se non è pagata da un’azienda o un ente esterno) è di circa 800 euro netti mensili, l’assegnista (postdoc) guadagna circa 1200-1400 euro al mese. Il vero salto lo si fa con la nomina a professore: 2600 euro netti più gli scatti di anzianità (dati Uniroma). In Europa, invece, va meglio solo in alcuni Paesi. In Svizzera per esempio: 40 000 euro netti all’anno in media per le borse di dottorato (cogitoevolo.it). In Germania gli stipendi delle varie categorie sono molto simili a quelli italiani, li superano al massimo di 2-300 euro, inoltre il costo della vita, soprattutto in alcuni Land, è più basso rispetto a quello italiano così da poter dire che non è tanto la differenza salariale a pesare quanto il potere d’acquisto del proprio stipendio.

Negli Stati Uniti il dottorando guadagna dai 1000 ai 1500 dollari, il full professor (l’equivalente del nostro professore ordinario) può arrivare a  90 000 dollari all’anno … distribuiti però in 9 mesi. Per i restanti tre deve trovare i fondi: fondi per finanziare il lavoro del gruppo di ricerca e per pagarsi lo stipendio mancante (dati Uniroma).

I lavoratori della scienza sono soggetti a infortuni sul lavoro. Il premio Nobel per la chimica 2001, Barry Sharpless, è cieco da un occhio dal 1970. Il benzene è una sostanza cancerogena accertata… dopo essere stata però studiata ed utilizzata per decenni, oltre ad essere ancora presente in alcuni ambienti lavorativi (Osservatorio ISPESL). I coniugi Curie sembra siano deceduti per aver vissuto inconsapevolmente una vita intera nella loro “casalinga” Fukushima: Marie Curie morì a 67 anni di anemia aplastica e la sua bara fu avvolta in una camicia di piombo per il timore di contaminazioni radioattive postume.

Non tutti i lavoratori della scienza fanno scoperte sensazionali che finiscono su Repubblica, a SuperQuark o sui prestigiosissimi comunicati del MIUR. Alcuni si dedicano alla ricerca applicata, altri si occupano di “creare conoscenza”, cioè si dedicano a quella che viene definita ricerca di base, che non ha fini utili immediati o immediatamente visibili: il penultimo premio Nobel per la chimica (Heck, Negishi e Suzuki) rappresenta un immenso traguardo per la ricerca di base che ha però dato una svolta storica a innumerevoli settori della ricerca applicata. L’astronomia e l’astrofisica non sono solo le scienze di chi ama guardare al cielo: moltissimi studi in questo campo continuano ad avere un ruolo fondamentale nella comprensione di ciò che avviene sulla Terra e contribuiscono a creare appunto quella “conoscenza” da cui attingono tanto i medici quanto i fisici. Per la ricerca di base è solo più difficile trovare fondi che non siano pubblici, ma è fondamentale difenderla per salvaguardare il diritto di tutti alla conoscenza e al futuro.

I lavoratori della scienza non hanno sindacati, non tutti sono iscritti agli albi professionali, sono di destra, di sinistra, leghisti e qualcuno vota perfino Casini (lo so perché li conosco), sono cattolici, ebrei, atei, hanno, almeno da giovani, prevalentemente contratti a termine e di lavoro dipendente, alcuni si sposano e a causa del lavoro vivono a centinaia di chilometri di distanza dal coniuge o a causa della riforma Gelmini non possono sposare un collega che lavora nella stessa università (è così strano che sul luogo di lavoro ci si possa anche innamorare?), non tutti guadagnano milioni fingendo di curare il cancro o avvelenando le acque, non tutti costruiscono l’atomica. Sono però tutti uomini e donne, con le loro idee e opinioni, con i loro problemi quotidiani e con la loro storia.

Sono lavoratori, figli non necessariamente di primari o ministri, a volte figli di chi dalla scienza ha avuto un lavoro dignitoso e la possibilità di creare e mantenere una famiglia: figli ad esempio di chi faceva l’operaio al polo chimico di Marghera, quel posto che adesso non c’è più.

I lavoratori ogni tanto sbagliano, è vero. Ma se non riuscite a fidarvi della scienza e dei noiosissimi libri di scuola cercate almeno di pretendere da voi stessi e dagli altri il rispetto per i lavoratori, per la loro buona fede, la loro fatica e la loro passione. Rispettando il lavoro altrui non abbiamo che da guadagnarci.

9 commenti su “Volevo lavorare (e fare lo scienziato)”

  1. Grazie. Dopo tante parole pronunciate a sproposito da chi non sa cosa significhi “fare scienza” (vivere la scienza, preferisco dire), leggere qualcosa “dall’interno” è… Significativo. Razionale, ma anche emozionante.

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