Il rispetto (e i diritti) negati

Il governo dei sobri, quello che ci salverà dalla crisi, tanto amato sopratutto da alcune delle più grandi testate giornalistiche e dalle banche, in questi giorni  pone l’accento su una delle questioni che più da vicino riguarda tutti noi: il lavoro.

Come ormai tutti sapranno, il problema del nostro paese è l’elevato numero di giovani senza un’occupazione. I dati Istat dimostrano che 1 giovane su 3 tra i 15 e i 24 anni è disoccupato e che gli inattivi, ossia coloro che non studiano, non risultano occupati, ma nemmeno disoccupati (e che quindi hanno smesso di cercare un impiego) sono pari a 2.474.000 e il fenomeno risulta tre volte più elevato rispetto alla media Ue (dati relativi al 2010).

I giovani devono abituarsi all’idea che non avranno un posto fisso per tutta la vita… del resto, diciamo la verità, che monotonia il posto fisso!”. Queste sono le dichiarazioni di Monti al Tg5 che hanno suscitato molteplici polemiche nelle scorse settimane. Le obiezioni a queste affermazioni sono diverse.

Per prima cosa, le giovani generazioni sono pienamente coscienti che non avranno un posto a tempo indeterminato, dato che l’andazzo del precariato dura da circa un decennio, ovvero da quando è entrata in vigore la legge n.30 del 14 febbraio 2003 (comunemente nota come legge Biagi). Nel 2003 si riteneva, in una situazione totalmente diversa dall’attuale, che la flessibilità  fosse lo strumento migliore per assicurare l’ingresso nel mondo del lavoro. I fatti però, ci hanno dimostrato il contrario, senza contare che le tutele dei lavoratori precari sono dimunuite in maniera allarmante (e in molti casi sono inesistenti).

In secondo luogo questa affermazione ha l’impressione di essere una presa in giro. Si parla di posto fisso, come se appena terminati gli studi universitari o quelli dell’istruzione di secondo grado, i giovani avessero la possibilità di trovare senza troppi sforzi un lavoro a  tempo indeterminato tanto appagante quanto noioso. Quanti colloqui in realtà si è costretti ad affrontare prima di trovare qualcosa della durata di pochi mesi? Oggi è praticamente impossibile sperare in un impiego fisso, vista la giungla dei contratti a tempo determinato e quelli di apprendistato. Inoltre una serie di lavori non duratori e malpagati riduce la possibilità di pensare ai progetti futuri.

Ovviamente i ministri-professori ritengono che la causa della crisi del lavoro nel nostro paese sia d’attribuire all’articolo18 dello Statuto dei lavoratori. Quest’ultimo prevede che il licenziamento non debba essere discriminatorio ma giustificato o dalle esigenze produttive dell’impresa, o dal comportamento del lavoratore.

Se non sussistono giustificazioni per il licenziamento, per il lavoratore dipendente sono previsiti risarcimenti monetari oppure il reintegro sul posto di lavoro (a seconda delle dimensioni dell’impresa).  A detta di Monti sarebbe proprio l’art.18 a scoraggiare gli investimenti in Italia. Nella realtà non tutti i licenziati possono ricorrervi a causa del potere intimidatorio dei datori di lavoro e delle aziende. Inoltre se davvero si vuole incoraggiare l’occupazione, sarebbe molto più immediato pensare di trovare una soluzione riguradante l’ingresso nel mercato lavorativo e non l’uscita.

Secondo alcuni dati elaborati dalla Cgil tra il 2007 e il 2011 su 31.000 cause contro i licenziamenti illegittimi, i reintegri sul posto di lavoro sono stati solo l’1%. E’ dunque un fenomeno limitato che non giustifica affatto le dichiarazioni del governo. A detta dei tecnici l’abolizione dell’articolo 18 sarebbe necessario per dare un segnale ai mercati. La conseguenza sarebbe un’eventuale riduzione dello spread, ma senza alcun beneficio per l’economia reale.

In periodi difficili come quello che stiamo vivendo, bisognerebbe infondere fiducia nei cittadini e promuovere una politica più solidale che miri ad esempio, a prevedere degli ammortizzatori sociali per chi è licenziato o risulta disoccupato.

L’azione del governo è invece totalmente opposta e induce a pensare che ci sia un fine politico dietro queste dichiarazioni poco rassicuranti. L’esecutivo ha l’obiettivo di indebolire il sindacato, eliminando una delle poche garanzie rimaste e ottenuta dopo anni di battaglie. “La tecnocrazia maschera il carattere ideologico di certe decisioni” afferma Camila Vallejo, la rappresentante degli studenti cileni.

Per finire: a quella di Monti, si aggiunge la battuta del Ministro degli Interni Cancellieri che ha dichiarato: “Gli italiani sono fermi mentalmente al posto fisso, nella stessa città, magari accanto a mamma e a papà, ma occorre fare un salto culturale”.

E’ impressionante la facilità con cui vengono fatte queste dichiarazioni considerando che  nel 2010 quasi 60.000 laureati si sono spostati da sud a nord (dati Svimez). Le frasi dei ministri risultano ipocrite, dato che i loro figli hanno impieghi ben retribuiti e posti ovviamente fissi. E anche se perdessero il lavoro (ipotesi remota), ne troverebbero subito un altro altrettanto allettante. Questo non sarebbe possibile per un giovane “normale”, meritevole ma senza dei genitori influenti.