Pd 2011, fuga da Penati

A Milano non c’è un bel clima. Chi ha qualche più anno di noi legge i giornali e ci racconta di essere tornati indietro di vent’anni, quando a Milano venne fuori il sistema Milano e tutti cominciarono a dissociarsi da chi fino a quel momento gli aveva garantito carriere e vantaggi.

Vent’anni dopo il sistema è quello di Sesto San Giovanni, la Stalingrado d’Italia, e ad essere finito al centro di una mega-inchiesta che sta letteralmente devastando il Pd locale e quello nazionale è Filippo Penati, ex-sindaco di Sesto ed ex-Presidente della Provincia di Milano, nonché ex-candidato alla guida del Pirellone per il centrosinistra.

Lo ha spiegato Nando Dalla Chiesa in un suo lungo articolo sul Fatto Quotidiano: Penati era l’uomo forte del Pd, il modernizzatore, quello pragmatico che, anche se era a favore delle ronde e ammiccava la Lega, non si poteva contraddire perché portava voti e consenso. Il suo gruppo di fedelissimi si è, in vent’anni, preso de facto il controllo dell’edilizia e dei trasporti nelle varie sigle che hanno succeduto il partitone rosso di Enrico Berlinguer.

Che Penati non ha mai fatto mistero di non amare per il rifiuto di quella modernità che invece veniva incarnata da Craxi, definito più volte uno statista, ma che nei fatti ha distrutto il più antico partito italiano, il Psi. Quello di Turati, di Nenni e di Pertini, tanto per intenderci. In questi anni tutti lo adulavano, tutti lo corteggiavano, nessuno ha osato metterne in dubbio le pratiche e la politica.

O meglio, qualcuno c’era. C’è stato chi, come Alberto Biraghi e altri pochi coraggiosi, che già ai tempi dell’affaire Serravalle sollevò la Questione Morale e furono tacciati di tafazzismo, di calunnia e tante altre cose poco carine che è qui meglio non riportare (ma che sono tutte documentate in rete).

Lo ribadisce nuovamente Dalla Chiesa, che ammette di essere stato redarguito da Giorgio Bocca per essere stato troppo moderato nell’affrontare il caso Penati: “Sarà perché sono nato in caserma, ma ho un senso dell’onore che mi porta a disdegnare i fuggitivi, quelli che abbandonano il capo nell’ora della sconfitta, la corsa ad abiurar Penati dopo averne ricevuti vantaggi e carriere.

E’ il caso di Maran, che fino a qualche mese fa andava in giro a suonar decine di campanelli e che si vantava di esserne il delfino (e che oggi scarica senza mezze misure); è il caso di Pierfrancesco Majorino, ex-segretario cittadino dei Ds, ex-capogruppo Pd in Consiglio comunale, attuale assessore al welfare di Milano. Uno che, qualche ora fa, ha rincarato la dose contro Penati, affermando su facebook:

ogni giorno che passa, sul piano politico, la vicenda di penati si aggrava. Aveva costruito un sistema di potere parallelo (non parlo di resp.penali,quelle le vedremo). Lo dico con l’amarezza di chi sa di aver sbagliato. Per troppo,in troppi, praticamente tutti, l’abbiamo ritenuto un interlocutore comunque obbligato e ne abbiamo sottovalutato la concezione distorta del potere medesimo.

Abbiamo provato a porgli qualche domanda, ma anziché rispondere, l’assessore “di sinistra” ha cancellato i nostri commenti e ci ha messo al bando dalla sua bacheca. Abbiamo riprovato dunque con l’account di QdS, stessa storia. Qui lo screenhot e potete controllare voi stessi come sia sparito.

A Majorino, che insiste nell’attribuire tutte le colpe a Penati, avevamo chiesto, anche in luce delle recenti rivelazioni della Procura, perché mai Bersani avesse presentato Gavio a Penati e i due si fossero incontrati in segreto in un albergo romano, anzichè in una sede istituzionale della Provincia (è prassi consolidata che amministratori pubblici incontrino imprenditori nelle sedi opportune). E perché mai Penati avesse pagato un prezzo non congruo per le azioni della Milano-Serravalle detenute da Gavio, facendogli incassare una plusvalenza super, 50 milioni della quale finirono a finanziare l’illegale scalata di Unipol a Bnl che coinvolse gli allora vertici Ds (gli stessi del Pd di oggi).

Majorino ha preferito censurare, anziché rispondere nel merito. La sua ultima fatica letteraria si intitola “Togliendo il dolore dagli occhi“. Più che il dolore, dirigenti di primo piano del Pd milanese forse era il caso che si togliessero le fette di salame dagli occhi. Non ora (troppo facile), ma quando i tafazzisti che rilanciavano la Questione Morale chiedevano a loro di prendere una posizione forte.

Allora, difesero Penati a spada tratta. Come fanno notare sull’Espresso, però, Penati non è Primo Greganti, che stava alla periferia del centralismo democratico guidato da Occhetto. Penati era il capo della segreteria di Bersani. Il suo braccio destro. E trasformarlo in un capro espiatorio sperando di salvarsi può rivelarsi un boomerang.

Giorgio Bocca ha definito i democratici peggio dei socialisti di Craxi. Probabile. Si spera sempre in un moto d’orgoglio della base per rinnovare completamente i vertici. Certo è che se il nuovo che avanza è la copia ringiovanita di quelli che c’erano prima, il problema è destinato a ripresentarsi, aggravato, fra una decina d’anni.

3 commenti su “Pd 2011, fuga da Penati”

  1. è ora che la sinistra(ormai è diventata DC)si svegli,se ci fosse il grande enrico,manderebbe tutti a casa………da bersani a d’alema…..adesso abbiamo merola e renzi…….ma andate a cagare……..l’evasione si combatte come fanno in america….si paga per qualsiasi cosa con carta di credito…….cosi è visto da tutti….SVEGLIA…….tra pochi anni questo partito di buffoni sparira’…….NICHI VENDOLA forever

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