Ma l’acqua è ancora un bene comune?

San Francesco nel suo celebre cantico delle creature celebrava l’acqua usando queste parole: Laudato si’, mi’ Signore, per sor Aqua, la quale è molto utile et humile et pretiosa et casta.

Oggi, a distanza di oltre otto secoli che cosa è diventata l’acqua? Davvero stiamo pensando che un bene che viene dal cielo e che compone mari, fiumi, laghi e torrenti possa essere equiparato ad una merce qualunque in mano di pochi?

L’argomento non è semplice dato che sarebbe riduttivo limitarci a considerazioni di ordine generale e non contestualizzate con il mondo moderno. Oggi la risorsa acqua è sempre più preziosa, i cambiamenti climatici, la sua lenta ma costante diminuzione, inevitabilmente finisce per attirare l’attenzione di chi vorrebbe farne una merce, o meglio un qualcosa di sua proprietà. Questo vale ovunque, ma diviene un argomento veramente molto delicato se contestualizzato nelle aree geografiche più povere del mondo dove un uso indiscriminato del bene comune acqua (l’oro blu) può risultare estremamente pericoloso.

Fatta questa premessa, veniamo all’attualità italiana ed in particolare al referendum che si terrà tra pochi mesi ed avente ad oggetto l’abolizione della parte del Decreto Ronchi del novembre 2009 che disciplina l’affidamento ai privati dei servizi idrici.

Ammettiamo pure che per certi versi sia comprensibile quanto ha scritto pochi giorni fa il vice-direttore di Repubblica Massimo Giannini, ossia che “c’è un verità teorica, che vuole l’acqua come «bene pubblico», assoluto e irrinunciabile. E c’è anche una realtà pratica, che vuole l’acqua pubblica mal gestita, se è vero che sulla rete idrica nazionale si disperde quasi il 50% della risorsa complessiva.”

Ma se anche fosse vero ciò, va tenuto conto del fatto che se gli enti locali mettono interamente in mano ai privati la gestione di un servizio di primaria necessità come quello idrico c’è il rischio che questo comporti conseguenze negative ben peggiori sopratutto per le fasce di popolazione meno abbienti che potrebbero ritrovarsi a pagare somme non sostenibili. Sappiamo bene che dell’acqua se ne fanno molti usi, dall’uso alimentare a quello di igiene personale, dall’irrigazione all’uso per lavare l’auto fino ad arrivare ad utilizzi di non prima necessità come quello per le piscine o per la neve artificiale. Non può quindi essere indifferente allo Stato quale sia la destinazione finale del bene acqua e se proprio si volesse fare una cosa giusta sarebbe necessario distinguere tra usi vitali e usi voluttuari.

Premesso questo, il nodo del contendere non è tanto il bene acqua in sé, quanto l’erogazione del servizio idrico. Tale servizio comporta spese di gestione e manutenzione e se da un lato l’obiettivo del privato gestore è quello di generare utile, al contrario il pubblico dovrebbe avere come unico scopo l’eliminazione delle inefficienze e il pareggio di bilancio.

Non è la stessa cosa, ancorché si tenda a sostenere che per i cittadini consumatori ci sia un vantaggio nel passare definitivamente e totalmente in mano ai privati la rete di infrastrutture idriche, si omette di ricordare che come ha di recente riconosciuto la stessa Assemblea delle Nazioni unite “l’acqua potabile è un diritto fondamentale, essenziale per il pieno godimento del diritto alla vita e di tutti i diritti dell’uomo”.

Se su questo principio tutti sono concordi, ne deriva che l’acqua necessita una speciale tutela di cui non si può fare a meno.

Per questa ragione di fronte all’imminente attuazione del Decreto Ronchi, ben un milione e quattrocentomila italiani hanno aderito all’appello per il referendum abrogativo, e lo hanno fatto spontaneamente, non in quanto sospinti dai partiti politici, bensì da convinzioni personali. Ovviamente il fatto che siano state raccolte così tante firme è indice di una sensibilità notevole e non frutto del caso, così come è anche vero che siamo di fronte ad una adesione piuttosto trasversale. Hanno aderito al comitato promotore un vasto arcipelago di sigle, in modo prevalente associazioni di volontariato legate al mondo cattolico, ai movimenti ecologisti, patronati sindacali, giovani, organizzazioni no profit e pacifisti. Sebbene non pare ad oggi emergere una una presa di posizione ufficiale della segreteria del Partito democratico circa l’adesione al referendum (tipica di chi ha troppe anime interne da far coesistere), va riconosciuto che diversi circoli Pd hanno aderito al comitato promotore così come hanno fatto altri movimenti di sinistra o l’Italia dei valori.

A dispetto dell’entità numerica eccezionale delle adesioni, non si può certo dire che ci sia attenzione sul tema da parte degli organi di informazione. Anzi, questa lontananza politico-mediatica rispetto ad un tema che tocca direttamente le vite dei cittadini italiani è per certi versi allarmante. Si parla di tante cose in tv, ma non di questo argomento, ed è chiaro che si tratta di una strategia volta a far passare in sordina il quesito referendario in modo da non far raggiungere il quorum sia per questo che per gli altri, tra cui quello sul nucleare.

C’è da augurarsi che nelle prossime settimane si inizi ad affrontare seriamente la tematica, poi ognuno è opportuno che si faccia una propria idea. Io personalmente non posso far altro che riconoscermi in modo totale nelle parole di Padre Alex Zanotelli quando dice: “Privatizzare l’acqua è come privatizzare la madre, l’acqua è la madre, è la fonte della vita, è il bene supremo che abbiamo. E’ una bestemmia e una bestialità privatizzare l’acqua. Non è più l’oro nero il bene a cui tutti guardano, senza oro nero possiamo vivere, senza l’oro blu, senza l’acqua, non si può vivere.”

1 commento su “Ma l’acqua è ancora un bene comune?”

  1. Eh, ma il “privato” vuole anche guadagnarci, e parecchio pure, a costo di lucrare sulle persone, mica si accontenta di “far quadrare il bilancio”. Poi ognuno ha le sue idee, e a me questa smania di privatizzare tutto mi pare abbia un po troppe correlazioni con il “nostro” capitalista DOC, zio Silvio.

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